Il fuoco del camino al centro della stanza scoppiettava illuminando
l'ambiente fumoso di ombre e luci oscillanti. Non
erano una cosa spiacevole da vedere, quelle scintille che salivano
verso l'apertura centrale del tetto e
quella particolare luce delle lampade a olio a tratti rafforzata
dalla fiamma del focolare e da qualche torcia infilata in anelli
di ferro sulle pareti tutto attorno, che illluminavano di colori cangianti
le schiene e i volti, alcuni glabri e mal rasati, altri barbuti.
C'era anche qualche donna avvolta in
pellicce di vari animali, ma per lo più
si trattava di uomini. Seduti sul quelle panche, ruvide ma tutto
sommato abbastanza comode, tutti consumavano la cena pescando con
le mani in piatti di terracotta o di peltro, e mescendo vino e acqua
in bicchieri di legno da grosse caraffe panciute.
Seduto di fronte a me, con i gomiti appoggiati sul tavolo
di assi grezze e sorseggiando vino da un grosso boccale di peltro
tenuto a due mani, uno strano individuo di
mezza età, reso calvo dall'uso continuo dell'elmetto, mi stava raccontando la sua storia e i suoi problemi
con voce un po' incerta.
Davanti a noi un piatto con alcune uova sode
e pezzi di formaggio pecorino, una scodella di lupini, una di fichi
seccati conservati sott'olio, una preziosa scodellina con il sale,
un canestro di giunco con alcuni pezzi di
pane e pizza salata, due cucchiai di legno nuovo e qualche bastoncino
aguzzo.
Marcus, così si chiamava il mio amico, indossava
una lunga tunica di lino sotto una pesante
veste di lana tessuta molto fitta, ed era a testa scoperta. Mise giù
il boccale, afferrò un pezzo di pane e infilò un fico
con lo spiedino di legno: «era veramente impressionante» disse «vedere l'orda spuntare dalla collina e gettarsi
giù a spron battuto su quei loro cavallini urlando come pazzi
e agitando i martelli e le asce ».
Si fermò un attimo per riflettere
e proseguì il racconto : «naturalmente
ho dato subito il comando di preparare i giavellotti, ma i ragazzi
al mio fianco stavano lì pallidi e immobili, con le daghe che
avevano sguainato appena avevano visto spuntare l'orda dalla cima
della collina. Imprecando come un Ateniese, mandavo a quel paese quell'imbecille
del sostituto di Rufo, che mi aveva messo a comandare una coorte senza
dirmi che cavolo di lingua parlavano, e provai prima
il greco e poi l'aramaico. Niente da fare, quei fessi
venivano da un villaggetto del nord Iberia e penso capissero a stento
i gesti. Feci segno di inguainare la daga e afferrare il giavellotto,
e finalmente lo fecero».
Siccome mi interessava molto capire
bene cosa era successo effettivamente, lo
interruppi « com'è possibile che non ti capissero? » domandai «non è forse vero
che l'addestramento completo comprende anche l'insegnamento
della nostra lingua ?». «Ma che addestramento ! » ribatté
lui «nessuno si aspettava che dovessero
essere impegnati prima di sei mesi, e quindi Rufo era partito
già da un mese per andare tranquillamente a Lutezia, che come
sai sta a circa 1000 miglia da qui, e passare Natale in famiglia.
Chi se l'aspettava una cosa come quella ! E poi d'inverno, co' sto
freddo!».
Tracannò un altro sorso e mi spiegò che d'altronde,
parlare di linguaggio comune non ha senso, tanto ormai nessuno più
della nostra terra vuol fare il servizio militare. L'unica coorte
italica che conosceva , riferì, è quella della famosa
legione decima, dove c'è rimasto ancora qualcuno del Bruzio
o della Bassa cisalpina. «Sai bene anche tu » esclamò
amaramente «che ormai anche la legge non
dà più nulla ai veterani. Guarda me ! Dopo quarantanni
di servizio, solo il minimo per sopravvivere, e chissà fino
a quando. Neppure una casetta in campagna... Vabbé che siamo
tutti cittadini uguali, e che ci pagano a tutti il mensile, ma almeno
a noi italici ... » Sospirò e si mise in
bocca un prezzo di pane e un fico «io ho fatto il militare
per passione, perché mi piaceva viaggiare e girare il
mondo, ma anche perché il mio trisnonno, che aveva
fatto l'ultima campagna contro i marcomanni , ci aveva
parecchie ferite e ci aveva pure
rimesso un dito della mano destra, ma alla fine gli avevano
dato una pensione e una casetta con un terreno mica male, in riva
al Nera».
A questo punto, mentre Marcus masticava pane e fichi, dovetti scuotere
gravemente il capo in caso di approvazione. Quello che Marcus
mi stava dicendo lo sapevo già, ma non avrei mai creduto che
il quadro fosse così desolante come lui lo dipingeva.
Il console era un germanico, molto in gamba a quanto dicono,
ma purtroppo le truppe erano abbastanza scadenti,
non tanto come equipaggiamento, ma come addestramento. Tra un
boccone e un sorso di vino mi raccontò che oramai gli
italici erano diventati per lo più pingui, grassi, e
se possibile anche più sporcaccioni che mai; e che malgrado
la Chiesa stesse facendo un grande sforzo
di moralizzazione, non approdava a nulla.
Nessuno più voleva rischiare la pelle per nessun motivo, e
tutti stavano bene, magari anche gli schiavi che erano rimasti
quasi gli unici a dover fare lavori pesanti. L'esercito era costretto
ad arruolare mercenari, e per di più sempre di minore qualità.«Troppi soldi in giro, troppo cibo,
troppi divertimenti , vita facile e nessuna idea di Patria» sentenziò
Marcus scuotendo la testa «dimmi perchè
mai la gente dovrebbe venire nell'esercito, e perché dovrebbe
combattere? Pazienza per i greci che a noi italici non ci hanno mai
sopportato, pazienza per gli africani, che non gli
frega niente di niente, pazienza per i germanici che tanto dicono
che si difendono da soli, e per i galli che a quelli gli
basta solo correre dietro alle donne, ma almeno noi dovremmo
avere un po' d'orgoglio nazionale, o no ? Dopotutto il mondo vive
in pace grazie a noi, e invece ...».
A questo punto Marcus era ormai lanciatissimo, e si
mise a raccontarmi che a Roma avevano fatto una manifestazione per
avere il bordello gratis «Ma che vuoi aspettarti ormai ? Anche
li è pieno di arabi, nordafricani, greci, egiziani, nubiani,
illirici e chi più ne ha più ne metta, e
gli italici, e non parliamo dei romani veri, sono pochi. Tanti sono
addirittura andati a stare in campagna, nei villaggetti sperduti !
».
Mi disse anche che l'ultima volta che c'era
stato, a Roma, si vociferava che l'imperatore avesse
pagato ai pretoriani e a molti senatori una cifra enorme per farsi
eleggere.
Per riflesso tirai fuori il registratore e aggiustai la minitelecamera
che avevo nel fermaglio della toga. Anche se un po' annebbiato dal
vino Marcus notò la cosa «che accidenti hai in mano ?» domandò «non
sarà mica una stregoneria ?». Assicurandolo precipitosamente
che si trattava solo di un portapillole di legno
e vetro comprato in palestina, gettai sul tavolo quattro
sesterzi e lo salutai « adesso Marcus scusami, ma se posso torno
qui domani alla stessa ora». Aggiunsi «sentirti raccontare
le tue avventure mi piace molto. E se puoi, porta
anche il tuo centurione a farsi una bevuta. Intendo Rufus, sempre
se è tornato da Lutezia. Ave atque vale, Marcus».
Mentre
lui annuiva e si accingeva a finire il vino che rimasto nell'orcio,
mi alzai in fretta da tavola e uscii di corsa.
Accidenti,
il racconto mi aveva tanto affascinato, che avevo quasi dimenticato
l'appuntamento con la discontinuità temporale che mi doveva
riportare a casa, cioè all'Istituto Nazionale di Storiografia.
Girai l'angolo e il vortice mi inghiotti, non senza prima aver disintegrato
ogni elemento estraneo al nostro tempo, compreso l'abbigliamento
che era stato imitato perfettamente, ma doveva essere eliminato
perché ormai aveva assorbito batteri ed elementi estranei.
Mi assicurai di aver registrato esattamente le coordinate, magari
tra qualche anno sarei potuto ritornare
lì 15 o 16 ore dopo, e
detti il comando vocale di rientro.
Mentre il vortice mi trasferiva verso casa, e il computer di bordo
elaborava e trasferiva i dati che avevo registrati, riflettevo che
la situazione di quel tempo e di quel luogo ove aveva avuto
origine la cultura dominante sul pianeta e che poi aveva
anche dato origine all'impero galattico, era straordinariamente
simile alla nostra attuale.
Certamente il Capo sarebbe stato contento del
mio lavoro e avrebbe avuto altri utili elementi di riflessione per
la sua equazione psico-storiografica ... (continua)