Hayao Nakamura
ovvero In morte dell'ILVA
ovvero Soldi Buttati da Balanzone

E' Nakamura un uomo giapponese
chiamato qui dal nostro professore
furbo e fetente, assai poco cortese

dicon fosse riuscito a risanare
con sforzo e genio immenso
tutto l'insieme di quel lupanare.

Io non ci credo, anzi son propenso
che lui tecnicamente a ragionare
non avesse cervello tanto intenso

ma che coi soldi ci sapesse fare
perché col pieno se ne torno a casa
dei miliardi che si fece liquidare.

Non si capisce poi perché sta cosa
ché dall'Europa venne l'esortare
a svendere gli impianti senza posa?

La Francia poi mantien le sue ferriere
e il Tedesco ci vuole anche fregare....
ma al sor Romano chi glielo fé fare?


NDA
: io sono in pensione - ma nancoro lavoro altrove - dal siderurgico dal 30 novembre 1994 quando Nakamura era già stato nominato da un bel pezzo a capo dell'ILVA, e so che la gestione Gambardella era precedente, iniziata anteriormente al '90. Quindi per l'esperienza che ho dico che non è del tutto vero e non è in ordine cronologico ciò che si dice nel reportage di Ornella Bellucci intitolato 'L'Arsenale, l'Italsider e una città in bilico. I veleni di Taranto'. (vedi a piè pagina)
Non so se Nakamura sia o meno riuscito a risanare l'ILVA come dice Ornella (a me non risulta, sennò che ragione ci sarebbe stata di mandarlo via e di svendere Taranto e Terni?). So che nel 1993 venne a visitare Terni e tanto per cominciare, dopo aver insultato i dirigenti (me compreso) in una assemblea apposita perché lui ammirava Taranto ma disprezzava Terni, mi fece ripagare in una unica soluzione l'auto che stavo pagando a rate all'azienda (una Ford Sierra 1900 SW) e, visto che io non sono un ladro e non ho mai rubato, egli mi mise allora in serissime difficoltà.
Tuttavia, per quello che ne so io (sono ingegnere siderurgico a Taranto dal 1969, nominato dirigente a Taranto nel 1980, trasferito poi da Taranto a Terni nel 1991) Hayao non riuscì a risanare proprio un bel nulla, anzi venne mandato via perché aveva combinato pochissimo.
Sparì portandosi via qualche miliardo di liquidazione, in consonanza con lo stile manageriale di Prodi, il quale (è un maestro della tecnica) riuscì a svendere sia Taranto (a Riva), sia Terni ( ai Francesi e ai Tedeschi, che ora la vogliono chiudere).

Rido (ma molto amaramente) per le seguenti ragioni:

1) Perché la trimurti sindacale, purtroppo, dopo innumerevoli tentativi è ha ottenuto la rovina di Taranto e dei suoi lavoratori, come prevedevo. E a quel paese finalmente sono ndati i delegati sindacali dei tubifici che dirigevo io, uomini saggi e lungimiranti come un asino cieco. Scrivevano continuamente comunicati, litigavano tra loro, e scioperavano continuamente anche per contestarmi, riuscendo così a farmi rimuovere da quei deficienti dei miei capi...
La scusa ufficiale fu quella che avevo realizzato un costo di trasformazione di 270 l/kg più alto di circa 20 lire rispetto alle 250 l/kg previste nel Budget, e questo anche se ero partito da un dato di 365 L/kg e mi avevano venduto un tubificio elicoidale durante l'anno, sottraendo al conto qualche decina di migliaia di tonnellate. Peccato per i lavoratori....

2) Perché il prof. Balanzone oltre che Taranto, è riuscito a svendere l'azienda anche a Terni per un centesimo del suo valore. Spero che oggi non svenda tutta Italia... è uno specialista della svendita e delle liquidazioni. Che mai ci guadagni non si sa. Come diceva Giberto Govi del collega Baciccia: << bén, se l'è mort l'avrà u la sua conveniensa>>

3) Perché malgrado tutto i sindacati, i comunisti e gli elettori sciocchi ancora non hanno imparato a smettere di pigliarla in quel posto da Prodi & C, e continuano a credere alle sue panzane e questo gli va a pennello. Infatti prevedo che adesso I tedeschi e i francesi dato che c'è un loro buon amico al governo italiano, riusciranno a far chiudere gli stabilimenti di Terni e a mandare la gente a casa. E l'amico darà a colpa a Berlusconi che invece li stava salvando....
Quei testoni, molto assai ...oni dei comunisti Ternani e Umbri in genere, dovranno allora contentarsi di aver intitolare strade a Salvador Allende lo scemo (morto stupidamente e inutilmente) e magari a Fidel Castro il furbo (è ancora vivo e vegeto). E ben gli starà....

4) Perché i vari 'maestri' che occupavano a Terni i posti di chi era più anziano e forse era migliore di loro andranno anch'essi a farsi benedire. Forse cadranno ancora in piedi, ma alla loro futura morte che si spera avvenga quando saranno vecchioni, e che è inevitabile anche se hai il grembiulino da muratore, andranno indubbiamente a giocare a carte con Satanasso e Farfaricchio.... E il Grande Architetto dell'Universo si addolorerà per non averli potuti salvare.

Stralcio dell'articolo di Ornella Bellucci (clicca per l'originale)

Nel ’94 la situazione della siderurgia di stato era diventata insostenibile: da un lato gli operai, minacciati dal ridimensionamento, dall’altro la politica di sperpero della dirigenza (NDR l'alta dirigenza, quella nominata prima dai socialisti e poi da Prodi naturalmente, non i poveri tiratori di carretto come me).
Il colpo mortale lo inferse infatti la gestione Gambardella (NDR: ingegnere, ex giovane della federazione giovanile comunista, guardacaso nominato da Balanzone a capo dell'ILVA) che portò a migliaia di miliardi il debito dello stabilimento con le banche. Alla privatizzazione si arrivò quando la Comunità europea minacciò Roma di tagliare i finanziamenti. E l’impegno del governo ci fu: a rilevare il siderurgico fu inviato Hayao Nakamura, che dopo aver riportato a 500 miliardi gli utili aziendali, pensò di accaparrarsi lo stabilimento con soli duemila miliardi. Nakamura fu rispedito in Giappone (NRD: pieno di soldi nostri naturalmente), e i contendenti rimasero in due: Lucchini e Riva.

Si andò alle buste davanti all’allora ministro dell’industria, Gnutti. A vincere fu Emilio Riva, capace di sborsare 1400 miliardi (NDR: ma Taranto valeva almeno 100 volte tanto). Così i debiti rimasero allo stato e il «ragiunatt» entrò in possesso di uno stabilimento con la produzione a pieno ritmo, in cui si stava rifacendo con soldi pubblici l’altoforno, e dove erano già stati avviati i prepensionamenti per l’amianto. In cinque anni Riva smantellò il sistema degli appalti, affiancò ai quadri una gerarchia parallela [la Siderconsult], e scosse la regola del posto fisso con contratti a termine e di formazione lavoro. Contratti, questi, raramente rinnovati. Ma poiché a gestire l’Ilva sono due società [l’Ilp, laminati piani e l’Ilt, lamiere e tubi], nulla impedisce che un giovane che ha lavorato per un anno per l’Ilp sia riassunto, dopo venti giorni, all’Ilt, e viceversa. Dal ’95 il ricambio annuo dei dipendenti è stato del 50 per cento. Oggi la siderurgia italiana è Riva. In quarant’anni il cavaliere è passato dal furgoncino per i rottami all’olimpo dell’acciaio, di cui è nono produttore mondiale. Lo stabilimento di Taranto gli garantisce il 50 per cento dei profitti: il resto viene da Cornigliano, dalla ex-Ddr, dal Belgio, dall’India.
Con la privatizzazione sono arrivati i licenziamenti in massa, la cassa integrazione, e i nuovi contratti. Sino al ’92, l’Ilva aveva venti mila dipendenti, oggi ne ha tredici mila: la metà sono ragazzi sotto i trent’anni, assunti con contratti a termine, e perciò molto ricattabili. Solo a luglio all’Ilva ci sono stati cinque incidenti gravi, uno con due morti.