NDA: io sono in pensione - ma nancoro lavoro altrove - dal siderurgico dal
30 novembre 1994 quando Nakamura era già stato nominato
da un bel pezzo a capo dell'ILVA, e so che la gestione Gambardella era
precedente, iniziata anteriormente al '90. Quindi per l'esperienza che
ho dico che non è del tutto vero e non è in ordine cronologico
ciò che si dice nel reportage di Ornella Bellucci intitolato 'L'Arsenale,
l'Italsider e una città in bilico. I veleni di Taranto'.
(vedi a piè pagina)
Non so se Nakamura sia o meno riuscito a risanare l'ILVA come dice Ornella
(a me non risulta, sennò che ragione ci sarebbe
stata di mandarlo via e di svendere Taranto e Terni?). So che nel 1993
venne a visitare Terni e tanto per cominciare, dopo aver insultato i dirigenti
(me compreso) in una assemblea apposita perché lui ammirava Taranto
ma disprezzava Terni, mi fece ripagare in una unica soluzione l'auto che
stavo pagando a rate all'azienda (una Ford Sierra 1900 SW) e, visto che
io non sono un ladro e non ho mai rubato, egli mi mise allora in serissime
difficoltà.
Tuttavia, per quello che ne so io (sono ingegnere siderurgico a Taranto
dal 1969, nominato dirigente a Taranto nel 1980, trasferito poi da Taranto
a Terni nel 1991) Hayao non riuscì a risanare proprio un
bel nulla, anzi venne mandato via perché aveva combinato
pochissimo.
Sparì portandosi via qualche miliardo di liquidazione, in consonanza con lo stile manageriale di Prodi, il quale (è
un maestro della tecnica) riuscì a svendere sia Taranto (a Riva),
sia Terni ( ai Francesi e ai Tedeschi, che ora la vogliono chiudere).
Rido (ma molto amaramente) per le seguenti
ragioni:
1) Perché la trimurti sindacale, purtroppo,
dopo innumerevoli tentativi è ha ottenuto la rovina di Taranto e dei suoi lavoratori, come prevedevo. E a quel paese finalmente
sono ndati i delegati sindacali dei tubifici che dirigevo io, uomini saggi
e lungimiranti come un asino cieco. Scrivevano continuamente comunicati,
litigavano tra loro, e scioperavano continuamente anche per contestarmi,
riuscendo così a farmi rimuovere da quei deficienti dei miei capi...
La scusa ufficiale fu quella che avevo realizzato un costo di trasformazione
di 270 l/kg più alto di circa 20 lire rispetto
alle 250 l/kg previste nel Budget, e questo anche
se ero partito da un dato di 365 L/kg e mi avevano venduto un
tubificio elicoidale durante l'anno, sottraendo al conto qualche decina
di migliaia di tonnellate. Peccato per i lavoratori....
2) Perché il prof. Balanzone oltre che
Taranto, è riuscito a svendere l'azienda anche a Terni per un centesimo
del suo valore. Spero che oggi non svenda tutta Italia... è
uno specialista della svendita e delle liquidazioni. Che mai ci guadagni
non si sa. Come diceva Giberto Govi del collega Baciccia: << bén,
se l'è mort l'avrà u la sua conveniensa>>
3) Perché malgrado tutto i sindacati, i comunisti e gli
elettori sciocchi ancora non hanno imparato a smettere di pigliarla in
quel posto da Prodi & C, e continuano a credere alle sue
panzane e questo gli va a pennello. Infatti prevedo che adesso I tedeschi
e i francesi dato che c'è un loro buon amico al governo italiano,
riusciranno a far chiudere gli stabilimenti di Terni e a mandare la gente
a casa. E l'amico darà a colpa a Berlusconi che invece li stava
salvando....
Quei testoni, molto assai ...oni dei comunisti Ternani e Umbri in genere,
dovranno allora contentarsi di aver intitolare strade a Salvador Allende
lo scemo (morto stupidamente e inutilmente) e magari a Fidel Castro il
furbo (è ancora vivo e vegeto). E ben gli starà....
4) Perché i vari 'maestri' che occupavano a Terni i posti
di chi era più anziano e forse era migliore
di loro andranno anch'essi a farsi benedire. Forse cadranno ancora
in piedi, ma alla loro futura morte che si spera avvenga quando saranno
vecchioni, e che è inevitabile anche se hai il grembiulino da muratore,
andranno indubbiamente a giocare a carte con Satanasso e Farfaricchio....
E il Grande Architetto dell'Universo si addolorerà per non averli
potuti salvare.
Stralcio
dell'articolo di Ornella Bellucci (clicca per l'originale)
Nel ’94 la situazione della siderurgia di stato
era diventata insostenibile: da un lato gli operai, minacciati dal ridimensionamento,
dall’altro la politica di sperpero della dirigenza (NDR l'alta dirigenza, quella nominata prima dai socialisti e poi da Prodi
naturalmente, non i poveri tiratori di carretto come me).
Il colpo mortale lo inferse infatti la gestione Gambardella (NDR: ingegnere, ex giovane della federazione giovanile comunista, guardacaso
nominato da Balanzone a capo dell'ILVA) che portò a migliaia di
miliardi il debito dello stabilimento con le banche. Alla privatizzazione
si arrivò quando la Comunità europea minacciò Roma
di tagliare i finanziamenti. E l’impegno del governo ci fu: a rilevare
il siderurgico fu inviato Hayao Nakamura, che dopo aver
riportato a 500 miliardi gli utili aziendali, pensò di accaparrarsi
lo stabilimento con soli duemila miliardi. Nakamura fu rispedito in Giappone
(NRD: pieno di soldi nostri naturalmente), e i contendenti
rimasero in due: Lucchini e Riva.
Si andò alle buste davanti all’allora ministro
dell’industria, Gnutti. A vincere fu Emilio Riva,
capace di sborsare 1400 miliardi (NDR: ma
Taranto valeva almeno 100 volte tanto). Così i debiti rimasero
allo stato e il «ragiunatt» entrò in possesso di uno
stabilimento con la produzione a pieno ritmo, in cui si stava rifacendo
con soldi pubblici l’altoforno, e dove erano già stati avviati
i prepensionamenti per l’amianto. In cinque anni Riva smantellò
il sistema degli appalti, affiancò ai quadri una gerarchia parallela
[la Siderconsult], e scosse la regola del posto fisso con contratti a
termine e di formazione lavoro. Contratti, questi, raramente rinnovati.
Ma poiché a gestire l’Ilva sono due società [l’Ilp,
laminati piani e l’Ilt, lamiere e tubi], nulla impedisce che un
giovane che ha lavorato per un anno per l’Ilp sia riassunto, dopo
venti giorni, all’Ilt, e viceversa. Dal ’95 il ricambio annuo
dei dipendenti è stato del 50 per cento. Oggi la siderurgia italiana
è Riva. In quarant’anni il cavaliere è passato dal
furgoncino per i rottami all’olimpo dell’acciaio, di cui è
nono produttore mondiale. Lo stabilimento di Taranto gli garantisce il
50 per cento dei profitti: il resto viene da Cornigliano, dalla ex-Ddr,
dal Belgio, dall’India.
Con la privatizzazione sono arrivati i licenziamenti in massa, la cassa
integrazione, e i nuovi contratti. Sino al ’92, l’Ilva aveva
venti mila dipendenti, oggi ne ha tredici mila: la metà sono ragazzi
sotto i trent’anni, assunti con contratti a termine, e perciò
molto ricattabili. Solo a luglio all’Ilva ci sono stati cinque incidenti
gravi, uno con due morti.
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