La prima avventura di Sinbad il Marinaio |
1 - Come Sinbad Il facchino trova finalmente la fortuna
Tanto tempo fa, quando il Califfo Harun El Rashid regnava nella città di Baghdad , chiamata la città della pace, in un misero tugurio della città di Bassra viveva un giovane uomo chiamato Sinbad il facchino, che lavorava a scaricare le merci dalle navi che approdavano al porto.
Il lavoro non mancava mai perché erano molto numerose le navi che ogni giorno transitavano attraverso il Golfo Persico - da e per le contrade del Vicino, Medio ed Estremo Oriente e dell'Africa orientale. Tuttavia Sinbad il Facchino pur faticando come un mulo, a stento riusciva a procurarsi quello che gli serviva per vivere ed era molto povero.
Non cercava di metter su una famiglia, perché - pensava - dato che riusciva a stento a mantenere sé stesso, come avrebbe potuto mantenere una moglie e dei figli?
Un giorno mentre stava lavorando a finire di caricare le merci su una piccola nave che gli avevano detto diretta in l'India, il proprietario, che era un ricco commerciante Cinese originario della provincia del Guang Dong, gli propose di dargli in pagamento del suo lavoro uno di quegli strani carrozzini che laggiù chiamano ricsciò, per il quale non si trovava posto nell'imbarcazione.
Si trattava di un veicolo a 3 posti, che aveva addirittura, appeso sotto i sedili, un cesto per trasportare i bagagli dei passeggeri.
Visto che Sinbad era riluttante, perché quel giorno non aveva mangiato nulla e non aveva in tasca nemmeno un monetina, il cinese gli spiegò che era una fortuna possedere un veicolo simile, che avrebbe potuto usare per trasportare i passeggeri delle navi che volevano andare a passare la notte all'albergo in città. Gli disse inoltre che avrebbe parlato lui con il capitano del porto per fargli avere il permesso di entrare e uscire con il suo carrozzino, dietro modesto compenso, naturalmente.
Dato che Sinbad esitava ancóra il cinese allora lo invitò a desinare a bordo, dove c'era anche la sua famiglia, a dopo essersi saziato di riso e di pezzettini di carne di pollo, e bevuto acqua da speciali orci di terracotta che, conservati all'ombra, la mantenevano fresca come fosse di sorgente, Sinbad accettò la proposta.
Dopo aver ringraziato e salutato il commerciante e la sua famiglia Sinbad si mise a tracolla le tirelle di cuoio, afferrò saldamente le stanghe del suo veicolo e si mosse per raggiungere di buon passo il suo misero tugurio.
Gli affari da quel giorno in poi migliorarono moltissimo, perché i passeggeri che
si facevano portare dal porto all'albergo non mancavano mai.
Certi giorni, dopo aver lavorato a scaricare un'imbarcazione, aveva dovuto addirittura fare più volte il tragitto dall'albergo alla banchina del porto. Mentre correva trasciando il veicolo nella sua borsa che portava alla cintura sentiva perfino tintinnare qualche moneta d'argento
Gli affari miglioravano di giorno in giorno, ed erano più i giorni che Sinbad era impegnato a soddisfare le richieste di trasporto dei passeggeri e dei bagagli dal porto alla città che quelli in cui gli domandavano di scaricare una imbarcazione.
Si era addirittura potuto permettere di acquistare una nuova tunica di lino bianco, fermata in vita da una brillante fusciacca rossa e delle comode scarpette imbottite con una suola particolarmente spessa e morbida, che solo a indossarle gli facevano venire voglia di spiccare la corsa.
Sinbad aveva infatti un fisico molto robusto,asciutto e agile ed era capace di correre trascinando il suo carrozzino per molte leghe, senza sosta e senza riprendere fiato, e quindi la sua fama si era sparsa e i suoi servizi erano sempre molto ricercati.
Ora avvenne che una sera molto calda, egli si fermase a riposare per curiosare un pochino vicino a una grossa nave tutta d'ebano, con intarsi dorati e una grossa polena di rame dorato a prua raffigurante un delfino che salta.
La nave era arrivata appena in tempo approfttando della corrente di marea crescente..per attraccare prima del tramonto del sole.
Dopo aver terminato le operazioni di ormeggio, i marinai che erano scesi a terra misero fuori un'altra passerella, più larga e pesante, dotata di corrimano fatti di corde di seta, e
quasi sùbito scese un signore in ricche vesti. Sul turbante portava un ciuffo di penne di struzzo, fermato da una spilla ornata di un grosso smeraldo color sangue di piccione, aveva una barba nera e sorrideva benevolmente.
Questo gran personaggio, accortosi che Sinbad lo guardava con curiosità, sorrise. "Tu sei il famoso Sinbad, il facchino corridore". E senza attendere risposta aggiunse " mi ricordi molto me stesso quando ero giovane e forte come te. Se mi accompagni a casa mia e accetti l' invito a cena di dò un bisante d'oro". Trasse fuori dalla borsa un bisante e lo lanciò al poveri Sinbad, che era tanto stupito dalla decisione e dalla proposta di quel signore, che quasi quasi non riuscì ad afferrarlo e impedire che rotolasse per terra..
2 - La cena del gran personaggio
Sappiate, o illustri signori, e te, onesto Facchino, che mio padre era
mercante di professione, uno dei più ricchi che ci fossero nel suo
tempo. Quando mio padre morì, mi lasciò grandi ricchezze in
denaro, merci, case e terreni. Io, purtroppo, nella insipienza della gioventù,
presi a frequentare compagnie dissipate, passavo il mio tempo a bere e giocare
e in festini e in conviti e non mi avvedevo che le mie ricchezze, per quanto
grandi fossero, andavano sempre più scemando. Un giorno, finalmente,
mi riscossi da quel mio stordimento e mi accorsi che tutte le mie sostanze
erano dilapidate. Mi ricordai allora delle parole del nostro signore Salomone,
figlio di Davide;
" Tre cose sono migliori di tre altre: il giorno della morte è
meglio del giorno della nascita, un cane vivo è meglio di un leone
morto, la tomba è preferibile alla povertà. "
Misi insieme allora quel poco che mi era rimasto e lo vendetti all'incanto
ricavandone tremila dirham. Poi ricordai il verso del poeta:
"Chi vuole la gloria senza fatica, passerà la vita inseguendo
un sogno impossibile."
Senza por tempo in mezzo, mi recai al suk, dove acquistai per duemila dirham
di merci. Quindi con la mia roba salii su una nave, dove erano già
imbarcati diversi mercanti, e scesi lungo il Tigri fino a Bassora. Di qui
la nave spiegò le vele verso il mare aperto.
Viaggiammo per giorni e notti, toccando un'isola dopo l'altra e una terra
dopo l'altra; e in ogni luogo dove ci fermavamo scendevamo a terra a vendere
ed a scambiare le merci.
3 - L'isola vivente
Un giorno, dopo che navigavamo da parecchio tempo senza avere avvistato
un solo lembo di terra, improvvisamente vedemmo sorgere davanti a noi un'isola
che sembrava un paradiso, ornata di palme da cocco e da cespugli fioriti. Aveva una forma regolare, come un collinetta che sorgesse dal mare. Il capitano fece vela verso l'isola e, ormeggiata
la nave a una palma, scendemmo tutti a terra, dove alcuni prepararono i fornelli per
cucinare, altri si misero a passeggiare contemplando le bellezze del luogo.
Io fui fra questi ultimi.
Mentre ce ne stavamo così, godendoci la bellezza di quel sito, a
un tratto sentimmo la terra che tremava sotto i nostri piedi e udimmo il
capitano che, sporgendosi dalla murata della nave, gridava:
" Passeggeri, salvatevi! Fate presto! Risalite subito a bordo! Lasciate
ogni cosa, se tenete alla vita! Fuggite l'abisso che si spalanca sotto di
voi! Perché l'isola su cui vi trovate non è un'isola, ma un leviatano, una a
balena gigantesca, che da tempo immemorabile si è adagiata a dormire in mezzo
al mare. La balena è rimasta così da tanto tempo che il mare
l'ha ricoperta di sabbia, e le sono cresciuti sul dorso gli alberi che vedete!
Voi, accendendo i fuochi per cucinare, l'avete risvegliata, ed ecco che
ora si muove e vi trascinerà con sé negli abissi! Salvatevi,
abbandonate tutto! " .
Udendo queste parole del capitano, i passeggeri, presi dal terrore, si misero
a correre verso la nave abbandonando le loro robe, i fornelli, le pentole.
Ma la balena era già in movimento e la nave stava già mollando la fune di ormaggio, così che solo alcuni riuscirono a salire a bordo. Gli
altri, quelli che si trovavano più lontano o che si erano attardati
a raccogliere le loro cose, furono travolti dalle onde e sommersi nel mare
profondo.
4 - Salvato dal naufragio
Io fui fra questi. Ma Allah Altissimo e Misericordioso mi salvò
dalla morte facendomi capitare sotto mano un grosso mastello di legno, di
quelli che si usano per fare il bucato. Io mi ci misi sopra a cavalcioni
e muovendo disperatamente i piedi come fossero le pinne caudali di un pesce cercai di raggiungere
la nave che si allontanava a vele spiegate. La seguii per un pezzo, finché
non la vidi sparire all'orizzonte, e mi ritrovai in mezzo al mare, solo
e derelitto, sicuro ormai di morire.
Per una notte e un giorno, fui sballottato dalle onde e dai venti, ma alla
fine le correnti marine mi gettarono contro un'isola rocciosa. Aiutandomi
con le mani e con i piedi riuscii ad attaccarmi a dei cespugli e a salire
in cima alle scogliere. Quando toccai terra, mi esaminai il corpo e vidi
che era tutto gonfio e martoriato e che i piedi recavano i segni dei morsi
dei pesci. Ma non sentivo alcun dolore, tanto ero sfinito. Mi gettai a terra
e per la stanchezza svenni. Rimasi a lungo così, in questo stato
d'incoscienza, e mi risvegliai solo al secondo giorno, quando il sole cominciò
a battermi addosso.
Feci per alzarmi in piedi ma le gambe, gonfie e piagate, non mi reggevano.
Considerai la miseria del mio stato, ma con la forza della disperazione
cominciai a trascinarmi per terra, fino a che, dopo molto patire, giunsi
in mezzo ad una pianura, dove scorrevano ruscelli e crescevano alberi da
frutta. Rimasi in quel luogo molti giorni, bevendo l'acqua dei ruscelli
e mangiando la frutta, finché non mi sentii guarito e rifocillato.
Quando fui in grado di alzarmi, mi fabbricai un bastone con il ramo di un
albero e cominciai a passeggiare ammirando tutto ciò che Allah aveva
creato su quella terra.
5 - L'incontro provvidenziale
Un giorno, che camminavo lungo la spiaggia del mare, vidi di lontano qualcosa
che mi parve essere una bestia selvaggia o un mostro marino. Curiosità
e paura si combattevano in me, sì che facevo dieci passi avanti e
cinque indietro. Alla fine mi feci coraggio e, avvicinandomi, potei vedere
che si trattava di una bellissima giumenta, legata a un paletto sulla riva
del mare. Mentre stavo là a contemplare la bestia, essa emise un
alto nitrito ed ecco che da sotto terra sbucò un uomo, il quale mi
venne dietro gridando:
" Chi sei tu? E da dove vieni? Per quale motivo ti sei avventurato
fin qui? "
" Signore, " risposi, " sappi che io sono uno straniero e
mi trovavo insieme ad altri passeggeri su una nave che ha fatto naufragio.
Tutti i miei compagni sono morti, ma Allah mise fra le mie gambe un mastello
che mi tenne a galla e così arrivai sino alle sponde di questa terra.
"
Quando quell'uomo ebbe udito le mie parole, mi prese per mano e mi disse:
" Seguimi! "
Scendemmo in una caverna sotterranea ed entrammo in una grande sala, dove
mi fece sedere e dove mi portò da mangiare. Poiché avevo fame,
mangiai di buon appetito e quando egli vide che ero rifocillato e il mio
animo era tranquillo, mi chiese di raccontargli per filo e per segno tutto
ciò che mi era accaduto; io gli raccontai la mia storia fin dal principio
senza trascurare nulla, ed egli dimostrò grande meraviglia.
6 - Gli straordinari cavalli del re Mihragiàn
Quando
ebbi finito il mio racconto, gli dissi: "In nome di Allah, signore, non prendertela con me se ora ti chiedo
una cosa. Io ti ho raccontato la verità sulla mia condizione. Ora
vorrei che tu mi dicessi chi sei e per quale motivo abiti in questa sala
sotterranea e perché tieni una giumenta legata sulla riva del mare!
"
Sappi, " mi rispose, " che siamo in parecchi sparsi sulle
spiagge di quest'isola e siamo tutti guardiani dei cavalli del re Mihragiàn.
Tutti i mesi, quando c'è la luna nuova, scegliamo una giumenta di
razza e la leghiamo sulla riva del mare, poi ci nascondiamo in queste caverne
sotterranee. Ed ecco che, attirato dall'odore della femmina, esce dal mare
un cavallo marino e si guarda intorno e non vedendo nessuno piomba sulla
giumenta e la copre. Quando ha finito di montarla si avvia verso il mare,
ma la giumenta che è legata non può seguirlo e allora comincia
a nitrire e a scalpitare. E il cavallo marino grida e la colpisce con la
testa e con le zampe. Allora noi che siamo nascosti qui sotto sappiamo che
il cavallo marino ha finito di montare la giumenta e usciamo fuori dal nostro
nascondiglio e cominciamo a correre e a gridare e il cavallo marino spaventato
si tuffa di nuovo tra i fiotti. Così la giumenta, fecondata, rimane
pregna e partorisce un puledro che vale un tesoro, perché non ve
ne sono di eguali sulla terra. E proprio oggi è il giorno in cui
verrà il cavallo marino. Quanto a me, ti prometto di accompagnarti,
quando tutto sarà finito, dal nostro re Mihragiàn e di farti
conoscere il nostro paese.
Benedici Allah, il quale ha fatto sì che
io t'incontrassi, perché senza di me tu saresti morto di tristezza
e di solitudine su quest'isola e nessuno dei tuoi amici e dei tuoi parenti
avrebbe più saputo nulla di te. "
Invocai su di lui le benedizioni di Allah e lo ringraziai per la sua cortesia;
e mentre stavamo ancora parlando, ecco che uscì dal mare lo stallone;
si guardò intorno e, dopo aver cacciato un forte nitrito, saltò
sulla cavalla e la coprì. Quando ebbe terminato smontò dalla
giumenta e voleva portarsela via con sé, ma quella non poteva muoversi
a causa del paletto, e tirava calci e nitriva. In quel momento uscì
fuori dalla caverna il guardiano della giumenta con in mano una spada e
uno scudo che percuoteva facendo un grande fracasso. E intanto andava chiamando
i suoi compagni che sbucavano di sotto terra da tutte le parti, anch'essi
gridando e facendo baccano. Allora lo stallone impaurito lasciò la
giumenta e tuffatosi nelle acque sparì sotto la superficie del mare.
Quando tutto fu finito, anche gli altri palafrenieri, che recavano a mano
una giumenta ciascuno, mi vennero vicino e mi chiesero chi fossi e di dove
venissi.
7 - Al Palazzo del Re Mihragiàn
Io raccontai a loro tutta la mia storia, ed essi si felicitarono con me,
poi stesero per terra la tovaglia e ci rifocillammo. Dopo mangiato mi fecero
salire su una delle loro cavalle, e così viaggiammo fino a che non
giungemmo nella città dove abitava il re Mihragiàn. Giunti
che fummo a destinazione, i palafrenieri si recarono dal loro sovrano e
lo informarono del mio arrivo, e questi chiese che io gli fossi condotto
dinanzi. Il re mi salutò con molta cordialità, dandomi
il benvenuto, poi mi chiese di raccontargli la mia straordinaria avventura
e quando ebbi finito esclamò:
"Per la barba del Profeta! Figlio mio, la tua salvezza è davvero un fatto
miracoloso! Se tu non fossi destinato a vivere a lungo, non saresti scampato
al naufragio; sia lodato Allah che ti ha tratto in salvo! "
Ciò detto, mi parlò con amicizia e considerazione, colmandomi
di doni e di onori, e mi nominò anche capo del porto incaricandomi
di tenere il registro di tutte le navi che entravano e uscivano. Così
io presi a frequentare regolarmente il sovrano, il quale non mancava di
dimostrarmi la sua benevolenza preferendomi a tutti gli altri suoi intimi
e ricoprendomi di vesti preziose.
Salii a tal punto nella sua stima che la gente, quando aveva bisogno di
qualche cosa, chiedeva a me di intercedere presso il sovrano. Nonostante
tutto questo, però, non avevo dimenticato il mio paese e, ogni volta
che mi trovavo a passare per il porto e vedevo giungere una nave, mi affrettavo
a interrogare ì marinai sulla mia città, chiedendo loro se
avessero notizie di Baghdad.
Invariabilmente quelli mi rispondevano di
non aver mai sentito nominare una città simile e di non sapere nemmeno
dove si trovasse. Mi convinsi così che non avrei mai più veduto
il mio paese e avrei dovuto finire i miei giorni in quella lontana terra straniera. Un
giorno, recatomi a trovare il re Mihragiàn, lo trovai in compagnia
di alcuni signori indiani i quali mi chiesero notizie del mio paese ed io
chiesi ad essi notizie del loro.
Costoro mi dissero che gli indiani erano
tutti divisi in caste,e che le caste più importanti erano quella
degli Kshatria, composta da uomini nobili e giusti che non commettevano
mai soprusi né facevano violenza a nessuno, e quella dei Bramani,
i quali sono della gente che non beve vino ma ama trascorrere la vita in
lieta serenità e possiede cammelli, cavalli ed armenti. Mi dissero
anche che il popolo indiano è diviso in settantadue caste, che non
hanno rapporti fra loro, il che mi stupì grandemente.
Fra le altre cose che vidi nelle terre del re Mihragiàn, c'era un'isola
chiamata Kasil, dove ogni notte e per tutta la notte si sentivano suonare
tamburi e tamburelli; ma sia gli abitanti delle isole vicine, sia i viaggiatori
mi assicurarono che il popolo di quell'isola era composto da gente seria
ed assennata. In quel mare vidi anche un pesce lungo duecento cubiti e molto
temuto dai pescatori; vidi anche un altro pesce che aveva la testa simile
a quella di un gufo e molte altre cose rare e meravigliose che sarebbe troppo
lungo riferire.
Occupavo così il mio tempo visitando le isole, finché un giorno,
che me ne stavo nel porto con il mio bastone in mano secondo l'abitudine
che avevo preso, osservai una grande nave carica di mercanti che entrava
in porto. Quando la nave si fu accostata alla banchina che è sotto
le mura della città, il capitano ordinò di ammainare le vele
e di ormeggiare il bastimento. Ciò fatto, misero fuori una passerella
e i marinai cominciarono a scaricare le mercanzie mentre io, che stavo lì
accosto, ne prendevo nota su un grosso registro che portavo a tracolla..
Alla fine chiesi al capitano: "E' rimasto niente altro nella tua nave? "
E quello mi rispose: " Signore, nella stiva sono rimaste diverse balle
di mercanzia il cui proprietario è annegato durante il viaggio. Noi
le abbiamo prese in consegna ed ora ci ripromettiamo di venderle facendone
registrare il prezzo, che consegneremo poi ai parenti dello scomparso quando
torneremo a Baghdad, città della pace. "
" E quale era il nome di questo mercante? " m'informai.
" Si chiamava Sindbad il Marinaio" rispose il capitano.
Allora io lo guardai più dappresso e lo riconobbi e, gettato un gran
grido, esclamai: " Capitano! Sappi che sono io quel Sindbad il Marinaio
che viaggiava con voi; e quando il pesce si mosse e tu ci chiamasti, alcuni
riuscirono a mettersi in salvo ed altri caddero in acqua; io fui fra questi.
Ma Allah Onnipotente mi mise a portata di mano un mastello di legno al quale
mi aggrappai, e i venti e le correnti marine mi gettarono su questa isola
dove per grazia di Allah, incontrai alcuni servi del re Mihragiàn
che mi condussero dal loro signore. E quando gli ebbi raccontato la mia
storia egli mi colmò di benefici e mi nominò sovrintendente
del porto. E in questa carica, come tu mi vedi, ho vissuto con larghezza,
beneficato dal favore del sovrano. Perciò le balle che tu hai nella
nave sono mie. "
Allora il capitano esclamò: "Non c'è maestà né
potenza se non in Allah, il Glorioso, il Grande! Bisogna dire però
che fra gli uomini non è rimasta né coscienza né buona
fede! "
Capitano, " dissi io, " Che significano queste parole,
dopo che ti ho raccontato la mia storia? "
E quello rispose: " Quando hai sentito che avevo nella stiva queste
merci il cui proprietario era annegato, hai pensato bene di volertele prendere
con l'inganno. Ma non potrai farlo, perché noi l'abbiamo visto sprofondare
nel mare con i nostri occhi, insieme con molti altri passeggeri, nessuno
dei quali si è salvato. Quindi, come puoi pretendere di essere il
padrone di queste merci? "
"Capitano" dissi io, "ti prego di udire tutta la mia storia senza
prevenzioni e la verità ti apparirà manifesta. "
Così gli raccontai per filo e per segno tutto quanto mi era accaduto
da quando ero partito da Baghdad fino al momento in cui eravamo sbarcati
sul pesce isola, dove per poco non facemmo naufragio tutti; gli rammentai
anche alcuni particolari che solo io e lui potevamo conoscere. Allora il
capitano e i mercanti si convinsero che dicevo la verità e si complimentarono
con me per la mia salvezza. Dopo di che il capitano mi consegnò le
merci, e su ogni balla trovai scritto il mio nome e vidi che non mancava
nulla. Cercai allora fra le mie robe e trovai un oggetto prezioso, e con
quello mi recai dal sovrano al quale lo offrii in omaggio raccontandogli
tutto quanto era avvenuto poco prima al porto.
Il re si stupì moltissimo di questo fatto e contraccambiò
il mio regalo con ricchi doni. Nei giorni che seguirono, vendetti le mie
merci guadagnando molto denaro e con esso comprai altre mercanzie e oggetti tipici
di quel paese. Poi, quando il capitano della nave mi annunciò che
aveva intenzione di partire, andai dal re Mihragiàn, lo ringraziai
della bontà che aveva avuto per me e gli chiesi licenza di tornare
in patria, per rivedere il mio paese, la famiglia, gli amici.
Il re, sebbene fosse spiacente delle mia decisione, poiché era un uomo buono e giusto acconsentì di buon grado, e mi regalò anche altre merci e prodotti
della sua terra; poi mi congedò affabilmente e io, sceso al porto,
m'imbarcai. Poiché così piacque ad Allah, viaggiammo senza
inconvenienti per molti giorni e notti e alla fine giungemmo a Bassora, dove
sbarcai, felice di essere tornato sano e salvo sul suolo natio.
Rimasi alcuni giorni a Bassora, poi, portando meco su alcuni cammelli grandi quantità
di merci rare e preziose, partii per Baghdad, città della pace, ove
entrai dopo un felice viaggio e, giunto nel mio quartiere e nella mia casa,
amici e parenti vennero tutti a salutarmi e a rallegrarsi con me. Grazie
al denaro che avevo, e alla gran copia di merci che avevo portato con me
e che vendetti, acquistai eunuchi e concubine e schiavi e comprai case e
giardini e terre, diventando cosi più ricco di quanto lo fossi stato
prima.
Allora, senza darmi alcun pensiero al mondo, mi misi a frequentare gli amici
trascorrendo con loro il tempo, dimentico dei pericoli, degli affanni e
delle pene che avevo patito durante quel viaggio avventuroso. Gustai ogni
piacere ed ogni delizia, mangiai cibi raffinati e bevvi vini squisiti, e
andai avanti in questo modo per parecchio tempo, ché le mie ricchezze
mi permettevano di condurre questo treno di vita.
8 - Fine della storia e congedo
"Questa è la storia del mio primo viaggio, e domani, se Allah lo vuole,
vi racconterò il secondo dei miei numerosi viaggi, cose che non ho mai raccontato e nessuno prima d'ora." disse Sinbad
il Marinaio, e ordinò al suo tesoriere che venissero date a Sinbad il Facchino dieci monete d'oro, e aggiunse: " la tua presenza ci è stata molto gradita oggi, e se vuoi puoi tornare domani e riceverai lo stesso dono." Sinbad il Facchino
lo ringraziò e, prese il sacchetto di monete che gli veniva offerto dal tesoriere.
Non poté però trattenersi dal domandare a Sinbad il marinaio il motivo di tanta insolita generosità.
"Se verrai domani sera alla stessa ora di oggi, potrai ascoltare insieme ai miei ospiti un'altra delle mie storie avventurose. Se ogni sera verrai ad ascoltare la mia storia potrai capire il perché di questo mio agire".
Sinbad il facchino, dopo aver salutati convenientemente tutti gli astanti,
se ne andò per la sua strada,
riflettendo su quanto aveva udito e non cessando di meravigliarsi per le
cose incredibili che possono capitare a un uomo.
di Berto Lunizzi
OTTOBRE 2006
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