BANALITA' SUL 'POLITICALLY CORRECT'

(liberamente ridotto da un testo di Claudio Risé e integrato da Berto Lunizzi )


Il relativismo è il pensiero che oggi ispira e muove il politicamente corretto e il buonismo.
Essere 'politicamente scorretti', è l'opporsi alla moda corrente delle ciarle dei salotti radical chic, dei 'talk show' e dai vari 'grande fratello' imperniati sul mettere in piazza le 'pruderies', le miserie e l'idiozia altrui, e in generale sul relativismo imperante per cui ognuno può dire sciocchezze senza fondamento e nessuno se ne meraviglia.

Il relativismo culturale è infatti una vera e propria ideologìa politico-sociale che sostiene la validità e ricchezza di ogni sistema culturale negando qualunque valore morale o etico assoluto, il che significa considerare qualunque aspetto di un altro tipo di società o gruppo solo in relazione con gli standard culturali del gruppo stesso invece di farlo da un punto di vista universale, cioè valutandolo in relazione ai valori di altre culture o gruppi.

Così non viene accettato un metro o criterio morale esterno assoluto al quale riferirsi, per cui ne discende che si possono considerare indifferentemente accettabili le diverse forme di matrimonio come la poligamìa o la poliandrìa o il matrimonio tra persone dello stesso sesso, che invece sono relative a un dato sistema culturale, oppure il vudù è stimabile al pari della scienza, o si ritengono legittime l'infibulazione e la schiavitù che tuttora vigono in certi sistemi e culture ove ancora queste pratiche sono normali.
Così la morale viene definita dagli usi e dai costumi vigenti, e quindi in una evoluzione continua secondo la prassi del momento, magnificando il concetto che non esiste una verità di riferimento e che la verità stessa dipende da ogni individuo in un dato spazio o tempo o campo di interessi.

Su questo terreno mutevole e sull'ignoranza della religione cristiana, oltre alle sette e alle varia religioni surrettizie, fioriscono le ipocrisie del 'politicamente corretto'

L'ipocrisia del 'politicamente corretto'

La prima battaglia di un anticonformista di oggi deve svilupparsi nel contrastare la manipolazione semantica e l'ipocrisia che si nascondono nell’eufemismo zuccheroso e saccente, nella perifrasi vereconda che traveste la realtà sotto falso nome e relega l’umanità vivace, complessa e sofferente in un limbo uniforme di portatori di adipe, di verticalmente, economicamente, sessualmente omologati in categorìe tutte egualmente valide, psicologicamente svantaggiati, di single e di liberi.

L'eufemismo del politicamente corretto provoca il dissimulare delle differenze, il che significa diventare le persone una specie di massa indifferenziata e vuota, mentre invece avere la pelle di un altro colore, ovvero la diversità della razza così come la diversità di sesso e di condizione (come dell’uomo e della donna, o dell’handicappato) sono caratteristiche portatrici di valori specifici.

Ad esempio ogni invalido, ognuno in modo diverso e personale, porta invece con sé i valori di eroicità e di accettazione e sublimazione del proprio disagio ed offre agli altri la possibilità di realizzarsi attraverso l'eroicità della dedicazione, cosa che per i credenti assume addirittura valore soprannaturale nell'offerta a Dio delle proprie e altrui sofferenze, ed è sbagliato credo appiccicargli l'eufemistica etichetta di 'diversamente abile'.
Se si fa finta di glissare sul colore della pelle, sul Paese di provenienza, sulle abitudini di vita, sull’alterità, allora si annienta l’individuo e si rende ogni relazione interpersonale surrettizia e fasulla, perché nella massa indifferenziata, dove nessuno è portatore di identità e diversità, non c’è vera libertà: siamo tutti schiavi.

Se continuiamo così, finiremo col censurare la Divina Commedia. Anzi, per assurdo, si finirà con l’abolizione dell’inferno da parte della Chiesa per non offendere i peccatori, i quali non saranno più peccatori bensì erranti per distrazione.
Esattamente come l’invalido è diventato «ipocinetico» o «diversamente abile», la mattanza cruenta e crudele di animali è definita il «raccolto», i tagli di spesa sono «ottimizzazione», il crollo in Borsa è «un ripiegamento del capitale azionario».

La rassegna di paradossi correct è lunghissima. Dal serio al faceto, l’ultimo nato è il gioco da tavola «Terzomondopoli», contraltare del competitivo, e perciò discriminatorio, Monopoli.
Un anticonformista di oggi, non può dunque far altro che rifiutare il politicamente corretto, rifiutare di omologarsi, e quindi dice pane al pane e vino al vino.
Pur non rifiutando di esaminare criticamente ogni idea, evita comunque in modo deciso di prendersi in giro nascondendo la testa nella sabbia come gli struzzi.

Il buonismo del politicamente corretto
Il secondo bersaglio è il gioco affettato del volersi bene. In tempi di buonismo ecumenico, il vero pericolo è l'aggressività inespressa. A forza di reprimere, si rischia l’esplosione efferata e violenta. Infatti è la politica dei buoni sentimenti che produce, nell’ombra, sette sataniche e integralismi.
Ed ecco il colpo mortale: «Il buonismo ha rivelato ampiamente il suo lato feroce. E’ sotto gli occhi di tutti che, insistendo con le smorfie edulcorate, si diventa cattivi» (L’ombra del potere. Il lato oscuro della società: elogio del politicamente scorretto, Red). Giù la maschera dunque: malvagi non si nasce, si diventa. E lo si diventa a forza di bontà e di cinico bon ton.
«Il politicamente corretto è la versione più aggiornata della società delle buone maniere, che teme la concretezza e rimuove il corpo, la natura, il sacro. Nell’Occidente materialista e consumista, la violenza, la forza, l’aggressività, il maschile sono formalmente un tabù» spiega Risé. «Ma proprio perché ha rimosso la morte, la tarda modernità assiste a continui massacri, genocidi e stermini.
Proprio perché si fa propaganda alla pornografìa, e si nega la virilità, si registra un’escalation di stupri e delitti di “bravi ragazzi”. Non c’è come spostare nell’inconscio aspetti fondamentali dell’esistenza per renderli regrediti, arcaici e incontrollabili».
Di qui l’atto di fondazione del «politicamente scorretto»: rivalutare il conflitto, guardare in faccia la realtà, chiamandola esplicitamente per nome, riscoprire il coraggio della diversità uscendo dall’uniformità conformista.

Ma c'è qualcosa di buono nel politicamente corretto?
«Sono convinta che il ridicolo sia nell’occhio di chi ride. Ciò che per me è comico, per un altro può essere sacro», afferma Valentina D’Urso che insegna Psicologia all’Università di Padova e ha pubblicato un libro su Le buone maniere (Il Mulino). «Per questo sarei molto cauta nel liquidare il politicamente corretto come eccesso ipocrita. Tutti noi siamo animali culturali: fin dalla culla i nostri comportamenti sono dettati dal contesto. Se siamo educati precocemente alla diversità, a non considerare nessuno – donna, straniero, handicappato – come vittima predestinata del nostro scherno, come bersaglio naturale del nostro senso di superiorità, cresceremo spontaneamente nel rispetto. Le buone maniere non tolgono libertà nella misura in cui rispondono a un preciso senso etico e non sono semplici convenzioni».

A questo punto qualcuno afferma che al di là delle citazioni caricaturali e degli eccessi risibili, la stagione del politicamente corretto ha coinciso con il movimento per i diritti civili. Che la parità sessuale e razziale, il rispetto delle minoranze e dei diversi stili di vita sono conquiste recenti, ma che malgrado tutto il buonismo profuso a piene mani il tasso di intolleranza nella società occidentale resta abbastanza alto: l’educazione al rispetto, non soltanto verbale, è tutt’altro che conclusa e quindi bisogna essere cauti nel liquidare il 'politicamente corretto'.
La professoressa d'Urso, pur non derivandoli dalle radici cristiane, però riconosce che «Ci sono principi etici irrinunciabili che la storia ha reso alla portata di tutti. Forse bisognerebbe smettere di chiamare politicamente corretto ciò che, in realtà, è umanamente corretto. Con una consapevolezza: non c’è nulla di prescrittivo. Le buone maniere non ci dicono dove andare, ci insegnano solo come andarci».
Saremo dunque eco-compatibili, multietnici, sessualmente emancipati. consapevoli dei diritti delle donne, dei bambini, dei gay, degli extracomunitari, degli handicappati, dei malati, delle minoranze religiose, degli animali, dell’ambiente: ma basterà tutto questo per un galateo di fine millennio?
Queste affermazioni, anche da parte di persone di cultura elevata, purtroppo derivano in buona parte dalla confusione di idee provocata dal pensiero relativista imperante che bandisce i famosi valori di riferimento assoluti.

A parte la coincidenza della stagione del politicamente corretto con evoluzioni altamente positive, queste non c'entrano nulla o quasi con la prassi del politicamente corretto - Martin Luther King era un luterano e non un relativista - ma sono un prodotto dei nostri valori assoluti, quelli delle radici cristiane che seppure oggi ignorate che anzi si vogliono nascondere dai più anche nella nuova Europa, esistono e sono ancora ben vive.
E' infatti da queste radici, è dalla elaborazione filosofica e critica dei valori fondanti assoluti della nostra società, che discendono l'educazione e il rispetto per gli altri, la parità sessuale e razziale, e le virtù umane che rendono sopportabile la convivenza della società, e non da un'etica che non ha fondamento perché viene definita dagli usi e dai costumi vigenti.
Il 'politicamente corretto' è solo un brutto surrogato usato dagli atei e dai materialisti pratici per evitare di riconoscere i nostri valori fondanti, dei quali anch'essi però sono il prodotto.

Noi comunque non dovremmo permettere che chi viene nella nostra società continui a praticare usi e costumi contrari alle nostre leggi e alla nostra civiltà. La separazione tra stato e chiesa che noi conosciamo e con fasi alterne pratichiamo sin dai tempi di Dante, per non dire dai tempi dell'Impero Romano, con la libertà di parola e di religione devono valere per tutti, limitate dalle leggi dello Stato.

Per esempio se gli islamici vogliono integrarsi nella nostra società, ebbene devono accettare questo principio di separazione, come pure devono uniformarsi alle leggi civili, per esempio non potranno praticare le diverse forme di matrimonio come la poligamìa o la poliandrìa, o l'infibulazione, o la schiavitù.

Dovranno obbedire alla legge civile nella macellazione degli animali, nel mostrare la faccia in pubblico, e in tutte le cose che sono 'precetti di uomini' dice Gesù Cristo che non derivano invece da quella base comune a tutti gli uomini che è la legge naturale, con cui la legge civile non deve confliggere.

C’è chi sostiene che bisogna andare oltre.
Ma oltre dove? Non abbiamo forse già i nostri riferimenti assoluti ? Galateo di inizio millennio Oltre le battaglie di aggettivi e definizioni occorre un’etica, non uno stereotipo.
Né buona né cattiva: autentica. E tale etica non può essere che quella delle nostre radici, altrimenti non avrebbe alcun fondamento assoluto.
Non condivido le tesi dei fautori del 'politically correct' per cui «quanto più i precetti del politically correct sono precoci e interiorizzati tanto più si useranno senza sforzo perché fanno parte delle modalità personali di espressione».
Dice la D'Urso: «Per questo non condivido la tesi di Risé e Bonvecchio».

Con ciò ella dimostra di prescindere dalle nostre radici oppure di vergognarsi di essere cristiana, dato che non ne fa neppure cenno. Non sono i precetti del 'politically correct', ma la riscoperta e la rielaborazione delle nostre basi cristiane che ci educano precocemente alla diversità, a non considerare nessuno – donna, straniero, handicappato – come vittima predestinata del nostro scherno, come bersaglio naturale del nostro senso di superiorità.

Conosciamo il Vangelo, studiamo e meditiamo la legge naturale, e allora si, cresceremo spontaneamente nel rispetto. Le buone maniere allora non toglieranno libertà nella misura in cui rispondono a un senso etico universale e non sono semplici convenzioni.
Il galateo profondo del nuovo millennio deve essere della convivenza: per non essere una semplice etichetta, una tassonomia del si fa e si dice, ma per dare la coscienza di appartenere a una collettività che, per funzionare, ha bisogno di regole condivise, deve basarsi su qualcosa di assoluto, buono per tutti i componenti della società autoctoni e alieni.
E questo assoluto noi occidentali ce l'abbiamo: sono le nostre radici. Che vanno oltre la dialettica di corretto-scorretto. Ripeto anch'io: occorre un’etica, non uno stereotipo. Né buona né cattiva: autentica. L'etica cristiana che garantisce libertà a tutti nel rispetto del prossimo.

CAVOLO A MERENDA:
un esempio di 'correttezza' politica - l'antifascismo
Cosa mai c'entri il fascismo nella società di oggi non si sa, dato che il fenomeno fascista vero è qualcosa di oggi irripetibile e impensabile, durato circa vent'anni ed è finito oltre 60 fa, con una guerra perduta.
La parola 'fascista' è quindi un esempio di come abbia avuto successo la tecnica del politicamente corretto per attribuire alle parole significati diversi da quelli originali.
Ricordo tanti anni fa un reportage del TG quando un tale, credo fosse il genero dell'Onorevole Craxi, preso con le mani nella marmellata apostrofò più volte urlando i giornalisti che lo stimolavano sulle sue malefatte con l'epiteto di 'fascisti'.
Fascista non è più dunque l'aderente a un certo movimento politico in gran voga negli anni tra il 1920 e il 1943, ma qualunque persona che non sia 'politicamente corretta' o che esprima dissenso per qualche idea 'buonista'.

E' politicamente scorretto dunque chi non aderisce alla cultura ancòra dominante, sessantottarda sinistreggiante e cosiddetta antifascista.
Per la maggior parte delle persone 'corrette' dunque l'antifascismo consiste nel tenere in vita nell'immaginario collettivo qualcosa a cui attribuire tutto il male che c'è al mondo in nome di un buonismo ecumenico e del gioco affettato del volersi bene, qualche mulino a vento o fantasima contro cui combattere senza respiro, altrimenti non si saprebbe a che santo votarsi per giustificare le proprie posizioni politiche e il proprio pensiero.
Salvo poi magari nella prassi a comportarsi in modo opposto a quello che si predica.

Nel caso dell'antifascismo direi che in non pochi casi si tratta anche di una patologìa mentale di alcune categorie di persone, come gli spostati che vivono nei centri sociali magari per miseria o disagio mentale o per sfuggire all'asfissiante tutela di qualcuno; come di gente che non avendo quattrini e non volendo lavorare per guadagnarseli desidera toglierli al prossimo; o di gente insoddisfatta oppressa dalla voglia di non lavorare; o di pensionati semianalfabeti che passano il tempo a giocare a videopoker o a briscola, a bere all'osteria parlando di politica, o anche a rievocare i torti subìti e a invidiare gli altri e quindi a dar del verme a Silvio Berlusconi; da maniaci che vorrebbero vedere film pornografici alla TV invece del TG delle una e trenta; da anarchici e ribelli cronici ad ogni regola; da studenti che vorrebbero imparare le cose senza studiare e magari fumando spinelli in classe, oppure da quelli che imbrattano tutti i muri che trovano con assurdi ghirigori, e via dicendo.
Tutti costoro infatti, frustrati dalle proibizioni vere o presunte inquadrano come 'fascista' e 'antidemocratico' tutto ciò che impedisce di dar sfogo alla loro natura.

E' quindi cosa che non stupisce che oggi il relativismo sia in voga nel pensiero della sinistra politica del nostro paese, difficile a dirsi se per convenienza momentanea o per evoluzione storica, e anche di quella estrema che una volta era la sede di un pensiero unico, assolutista e totalitario. Le loro poche menti pensanti sono però ben conscie dell'effetto della prassi relativista che propongono tramite il politicamente corretto e il buonismo privo di basi etiche assolute.
Mirano cioè attraverso di essa a raggiungere l'implosione della società occidentale, in particolare quella europea attuale, per instaurare nuovamente chissà quali luminose sorti del socialismo reale.
Il 'politicamente corretto' è uno dei grimaldelli che coloro usano per scassinare l'etica e la morale inquinandole e rimescolandole tramite la manipolazione semantica, cioè con l'attribuzione alle parole di significati diversi da quelli originali. Tuttavia anche loro sono presi nella trappola di questi meschini espedienti inventati dalla nostra società consumistica per vendere prodotti inutili, e non sanno e non si rendono conto, poverini, di quello che il Destino e la Storia (Dio) stanno preparando per loro e per noi tutti purtroppo.
C'è al di fuori della nostra porta gente per cui che le distinzioni tra 'etico' e 'non etico' 'corretto' e 'non corretto' sono solo incomprensibili scemenze.

Berto P. Lunizzi (non profit freelance)