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Premessa

Cambiamenti, agitazioni e rivoluzioni sono fenomeni affini per cui era inevitabile che il Post Concilio e il Sessantotto avessero delle interazioni.
Con “Civiltà Cristiana” affrontammo le ripercussioni del Sessantotto negli ambienti cattolici di Roma. Avevamo troppa esperienza della gente che operava alla Sapienza per non accorgerci delle infiltrazioni comuniste nelle associazioni cattoliche e nelle parrocchie; non ci facemmo ingannare da mascherature di comodo quali comitati di quartiere, cineforum, scouts e comunità.

Non si trattava solo di progressismi filo protestanti ma di vere deviazioni cattoliche in chiave marxista, nella dottrina e nella prassi. Quella situazione fu favorita da diversi fra chierici e laici cattolici religiosamente sbandati.
“Civiltà Cristiana” era un’ associazione che si proponeva di difendere la Tradizione cristiana e i suoi valori nei confronti del comunismo e dei progressisti, parte della Chiesa, che sotto la spinta di marxisti e protestanti, nel cosiddetto Post Concilio, svendevano tutto un patrimonio religioso e culturale di millenni.
Capitava di vedere arrivare nella sede di Civiltà Cristiana sita in Corso Vittorio Emanuele, tra Piazza del Gesù e Largo Argentina, sacerdoti e monsignori di mezzo mondo che venivano a lamentarsi dei misfatti dei progressisti, magari portandosi valige di paramenti sacri e vasi sacri che, nei loro paesi, venivano gettati via per fare posto alle nuove liturgie “mondane”, che la Santa Sede non autorizzava ma che non era in grado di impedire.

Non eravamo addentro alle questioni della Direzione, con a capo Franco Antico, non eravamo nemmeno soci, ma legammo in modo forte col gruppo giovanile di Civiltà Cristiana, capitanato da Massimo, Serge e Josè, tutti universitari, tranne Rodolfo che era il più giovane, e con loro affrontammo situazioni anche rischiose all’ Università, nelle chiese progressiste, e negli stessi dintorni della sede, crocevia fra Via delle Botteghe Oscure, sede del PCI, Piazza del Gesù, sede della DC, nonché della Massoneria, Largo Argentina, sede dei Radicali, e Campo dè Fiori, covo di Potere Operaio e Lotta Continua.
Avevamo la S. Messa nella cappella interna alla sede, e i mezzi di formazione con due domenicani della vicina basilica di S. Maria sopra Minerva, padre Domenico Cinelli e padre Antonino Silli e con il francescano padre Antonio Coccia.

C’erano incontri, dibattiti e un via vai di gente interessante, insomma un’attività dinamica sul piano culturale e sul piano attivistico.


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Basilica di S. Paolo

L’abate Franzoni pontificava alla Basilica di S. Paolo, alla Messa domenicale delle 12. L’abate benedettino era solito, subito dopo la sua omelia, dare la parola ai fedeli invitandoli a parlare al microfono. Era a dir poco un arbitrio liturgico, ma tant’è.
Ci andavano i suoi compagni del locale Comitato di Quartiere che propagandavano le loro ideologie, le occupazioni di fabbriche del quartiere Marconi e le manifestazioni del sabato del Movimento Studentesco, con relativi immancabili scontri con la polizia.

Il fatto era divenuto di dominio pubblico e diversi giornali ne parlavano. Decidemmo che tanto valeva che andassimo anche noi, e così Duilio cominciò a presentarsi al microfono a dire la sua. Franzoni, obtorto collo, era costretto a non impedirlo ma la tensione tra i fedeli cresceva, di domenica in domenica, anche perché frati e comuni fedeli, che non erano d’accordo con l’abate, prendevano coraggio dalla nostra presenza.
Una domenica avvenne il fattaccio: prima dell’ inizio della celebrazione un gruppetto di giovani ci intimò di uscire dalla chiesa, ci fu un diverbio, e….. ci rimise la chitarra che i franzoniani suonavano durante la Messa e che in quella circostanza rimase frantumata. Quel giorno c’erano con noi anche Sandro, Franco, Rocco e Aurelio.
Ormai era guerra sicchè quando ci recammo, una sera, nella “Sala Rossa” della Basilica (rossa perché foderata di velluto rosso), dove Franzoni riuniva i suoi adepti e attivisti per organizzare le attività di occupazioni di fabbriche, la partecipazione ai cortei studenteschi del sabato all’insegna di “Cristiani per il Socialismo”, eravamo solo in due, il diverbio divenne subito aggressione nei nostri confronti.
Il funzionario di P.S. del locale commissariato, chiamato, non esitò a fare il favore all’ abate di spedirci a Regina Coeli. Vi stemmo solo pochi giorni ma furono dolorosi per il freddo e la neve che gelavano Roma e la cella di punizione dove ci avevano mandati. Ci fu di conforto in quella circostanza l’amicizia che facemmo con padre Luigi Cefaloni, cappellano del carcere.
Al processo, per direttissima, fummo assolti con formula piena e con grande simpatia da parte dei giudici della IV sezione. Mentre eravamo in prigione, Franzoni doveva tenere un intervento nella sala dell’ università Angelicum, ma i nostri amici di Civiltà Cristiana, con in testa il segretario Franco Antico, lo contestarono clamorosamente, accusandolo di aver mandato due persone in prigione e lo costrinsero a rinunciare all’ intervento.
Fu in quella circostanza che cementammo la nostra amicizia con Civiltà Cristiana. Dopo qualche anno la Santa Sede decise di destituire l’abate Franzoni, anzi lo ridusse allo stato laicale.
Franzoni cercò di rifarsi dandosi alla politica ma più che consigliere del PCI alla prima circoscrizione non riuscì a ottenere. In seguito, sposò una giornalista giapponese e se ne tornò in provincia da dove era venuto.

Fra i tanti casi di preti contestatori del Post Concilio forse il caso più clamoroso è stato quello di Franzoni, stante il suo grado di “Abate mitrato” della Basilica di S. Paolo, equiparato a vescovo. .


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Il doposcuola di via Nòrico

Nella nostra abitazione in via Norico, tenevamo un doposcuola di ripetizioni per quelli del quartiere che ne avevano bisogno. L’abitazione era grande e c’era un via vai di ragazzini, ma anche di giovani degli ultimi anni di liceo.
Duilio faceva ripetizioni di materie umanistiche e Giancarlo di materie scientifiche. Era anche un modo per mantenerci economicamente. In un clima di allegria, si studiava sodo e i risultati scolastici erano assicurati.
Quello che non era previsto, nemmeno da noi, era che qualche ragazzo, più adulto, si appassionasse alle lotte all’ Università e negli ambienti progressisti. Primo fra tutti Sandro, che abitava vicino noi, e ci frequentava abitualmente.
Si è trovato in numerose occasioni in imprese all’ Università, alla Natività e alla Basilica di S. Paolo; una volta universitario divenne inseparabile da noi, fu il “terzo uomo”.

Un caso clamoroso fu quello di Rocco che il padre, vice questore, ci aveva affidato per rafforzarlo nel rendimento scolastico; volle a tutti i costi venire con noi alla Basilica di S. Paolo e si trovò quando rompemmo la chitarra. Chissà se ha mai detto al padre di quell’avventura.

Con questi ragazzi, specialmente gli universitari, facevamo apostolato e alcuni di loro, per lunghi periodi, parteciparono al “Gruppo del Vangelo”: Pippo, Giovanni, Claudia, Giuseppe, Anna, Claudio, Alessandra e naturalmente Sandro.
A turno preparavamo il Vangelo, lo commentavamo agli altri e poi ne parlavamo insieme. A volte abbiamo ospitato a casa qualche amico universitario, fuori sede, che temporaneamente aveva perso il diritto di stare alla Casa dello Studente.
A casa, naturalmente, l’anziana zia di Duilio, Nina, era popolarissima fra i giovani frequentatori, che si prodigavano verso di lei con attenzione e simpatia.

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Parrocchia della Natività

Alla parrocchia della Natività la comunità progressista aveva fatto una raccolta di firme tra i fedeli per chiedere al Vicariato la sostituzione del parroco don Camillo (secondo loro non all’ altezza dei “nuovi tempi”) con il viceparroco don Gino, a loro più a genio perché lanciato nelle sperimentazioni liturgiche e nelle pronunciazioni ideologiche marxiste.

Essendo anche noi parrocchiani, iniziammo a fare una contro raccolta di firme perché non potevamo accettare quello che ci appariva un vero e proprio colpo di mano. Don Camillo ci disse che per lui non c’era ormai più niente da fare, sarebbe stato trasferito ma che almeno cercassimo di impedire che fosse nominato il nuovo parroco sostenuto dalla comunità, perché il fatto sarebbe stato foriero di tensioni e dissidi nella parrocchia. Non riuscimmo a salvare don Camillo né a impedire la nomina di don Gino ma da allora cominciò un braccio di ferro fra noi da una parte e don Gino, don Gianni (che poi si sarebbe spretato e sposato) e la comunità dall’altra.

Una volta, passando per i locali della parrocchia, vedemmo che in una sala c’era un tavolo con scritte e simboli anarchici e comunisti. Ci dissero che lì si riunivano gli scouts e il Collettivo dell’ Alberone; ci ritornammo all’ ora della riunione, riconoscemmo subito pericolosi personaggi delle occupazioni alla Sapienza e…. inevitabilmente volarono sedie e tavolo.
I comunisti si dileguarono e, a questo punto, anche Marco, che stava con noi, ci disse che doveva andare via in fretta perché stava facendo il servizio militare e non poteva farsi trovare lì, in quella situazione.

Venimmo a sapere che al cinema della parrocchia, la sera, si svolgeva un cineforum con film tutti dedicati alla guerriglia comunista nel Sud America e inneggianti a Camillo Torres e Che Guevara. Si voleva avallare una guerriglia di cattolici a favore del comunismo.
Una sera cercammo di andarci anche noi ma venimmo fermati nel cortile, erano scouts ma anche pericolosi attivisti comunisti del vicino Alberone, che noi ben conoscevamo dall’ Università e che ben poco c’entravano con la parrocchia.
Ne nacque un diverbio e volò qualche pugno, uno dei quali colpì don Vittorino, probabilmente non individuato per il buio pesto del cortile. Il giorno dopo si seppe che don Vittorino era dovuto ricorrere al Pronto Soccorso dove gli avevano dato cinque punti.

La Parrocchia e il Vicariato furono particolarmente duri nei confronti di Marchesini, colpevole di aver colpito don Vittorino, e gli comminarono la scomunica “latae sententiae”. Duilio non potè accostarsi ai Sacramenti in parrocchia per alcuni mesi.
Mons. Landucci, santo sacerdote, canonico lateranense, cui ci eravamo rivolti, lo tranquillizzò, gli disse di ricorrere ai penitenzieri della Basilica di S. Giovanni, che avevano l’autorità di assolverlo, e quindi ritornare alla comunione, ma non in parrocchia.
Dopo qualche tempo la situazione si risolse anche in parrocchia perchè era chiaro che la scomunica non aveva senso perché il fatto non era avvenuto in “odio alla religione” ma in uno scontro fra attivisti, in una situazione in cui la parrocchia aveva le sue colpe.
Pertanto il Vicariato, approfittando di un pellegrinaggio dei fedeli alla Basilica di S. Pietro, in occasione dell’ Anno Santo, provvide, con il vescovo vice gerente, a dare la Comunione pubblicamente a Duilio, e così sancire il rientro nella comunità dei fedeli.



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La signora Valesi

Anna Valesi Penso , psicologa, era vedova, madre di cinque figli. Parrocchiana della Natività, dopo la morte del marito, medico, si prodigò a salvaguardia della Chiesa che vedeva, nel periodo del Post Concilio, gravemente compromessa a livello dottrinale, liturgico e morale.

Aveva l’esperienza di come, in parrocchia, “educavano” le sue figlie che frequentavano la comunità, e ne soffriva molto. Con grande zelo si mise a denunciare le storture di cui era testimone, con visite a monsignori del Vicariato, e scritti inviati in Vaticano.
Una volta ci fece avere un testo della “Via Crucis”, celebrata dalla comunità alla Natività, in occasione della Settimana Santa, sulla falsariga di un testo proveniente dal Sud America, in cui si volgevano, in chiave rivoluzionaria e comunista, gli episodi della passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Ne veniva fuori che i cristiani dovevano imbracciare il mitra per fare la guerriglia di liberazione.

Una volta la Valesi ci mandò al Teatro Valle dove si riunivano franzoniani e gentiloniani per iniziative progressiste e contestatarie.
Padre Filippo Gentiloni Silverj, gesuita e già professore di Religione al liceo Visconti, si era spretato e sposato e, non contento di questo, pretendeva di estendere il matrimonio dei preti alla Chiesa intera, facendone pubblica manifestazione. Era in questo spalleggiato dall’abate Franzoni e dai suoi seguaci.

Andammo al Teatro Valle con una decina di giovani e boicottammo la riunione, giusto in tempo prima che arrivasse la polizia. Poi andammo dalla signora Valesi con la registrazione di quanto era avvenuto, e lei provvide subito a farla avere a un monsignore del Vaticano.
Spesso la si vedeva, in via Gallia, con il suo immancabile cappello a larghe falde, a distribuire i suoi scritti ai parrocchiani; tra i giovani che l’aiutavano, c’era Fabrizio Lastei, che sarebbe divenuto il fondatore di “Militia Christi”, associazione che molto si sarebbe adoperata a favore della Tradizione, contro divorzio, aborto, gay ed eutanasia.

Anna Valesi Penso, che nobile donna!


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La processione del Corpus Domini

Quell’ anno il Vicariato aveva abolito la tradizionale processione del Corpus Domini: “Ci sono le strade occupate da continui cortei di manifestanti, il traffico è sempre più intasato…”
Stà di fatto che la processione dalla parrocchia della Natività a piazza Armenia, che avveniva da numerosi anni con successo, non si sarebbe svolta.
Il fatto apparve a molti fedeli come un tradimento alla Tradizione e un cedimento alle intimidazioni dei contestatori, e decidemmo di farla ugualmente, per conto nostro. Affiggemmo dei manifesti avvertendo i fedeli: “ La processione si farà”.

Il giorno stabilito, all’ora stabilita, c’era un po’ di gente sul sagrato della chiesa, un po’ interessata, un po’ incuriosita e noi avevamo portato un gruppo di ragazzotti che, per il loro aspetto aitante, tutto sembravano meno che chierichetti.
C’erano poi gli osservatori del Vicariato, intenzionati a scoprire quale sacerdote avrebbe osato disattendere al divieto della processione. E c’era naturalmente la polizia allertata dal parroco.

A un certo punto una Mercedes guidata dal dr. Andreini si accosta al marciapiede della chiesa, immediatamente il dr. Taglioni si inginocchia davanti allo sportello della macchina, e ne scende don Antonio con i paramenti sacri, portando l’ostensorio con la particola consacrata.
Avvertiamo che la processione avrebbe avuto inizio, la gente si mette in fila dietro al sacerdote e si avvia lungo via Gallia.
Da qualche finestra pende qualche drappo ornamentale in onore al passaggio del Santissimo. Si intonano preghiere e canti e l’inconsueto corteo si dirige alla volta di piazza Armenia, scortato dagli agenti.
Sul marciapiede qualche fotografo cerca disperatamente di riprendere don Antonio, ma viene rudemente spintonato da qualche ragazzotto fedele partecipante alla processione. Non si può dire che il corteo sia stato meno raccolto e devoto delle altre processioni, anche se c’era meno gente.

Giunti a piazza Armenia, come di consueto, il sacerdote dà la benedizione e consuma la Particola facendo la comunione a Duilio, che si inginocchia e riceve l’ Ostia consacrata.
Quindi don Antonio, accompagnato da Andreini e Taglioni, si dirige verso la Mercedes inutilmente contattato dagli agenti, i quali a questo punto chiedono a Marchesini chi esso fosse.
Duilio spiega che aveva visto nel cielo una nuvoletta, e volge lo sguardo verso l’alto (coinvolgendo nel gesto il maresciallo) e aveva osservato una macchina che era scesa a terra e da essa era uscito don Antonio.
Più sorpresi che arrabbiati i poliziotti sono costretti a desistere e la manifestazione si conclude.

Per giorni al Vicariato hanno cercato don Antonio ma senza trovarlo anche perché non era di Roma ma di Avellino. Dopo qualche anno S. Giovanni Paolo II ripristinò con solennità la processione del Corpus Domini.


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Teatro dell’ Opera

C’era la prima dello spettacolo “Jesus Christ Super Star” al Teatro dell’ Opera.
Grande pubblicità nei giorni precedenti, con manifesti e articoli sui giornali. Si preannunciava la partecipazione di personaggi e autorità.
La presentazione dello spettacolo, per giunta a Roma, colpì la sensibilità di molti cattolici: era chiaramente offensivo della divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, non c’entrava niente il varietà né il musical.

Vennero da noi in diversi a dirci di organizzare una contestazione e ci fu chi ci rimediò trenta biglietti della inaugurazione. Presto detto, presto fatto. Riunimmo a casa da noi una trentina di baldi giovani, li istruimmo su come comportarsi, e la sera della prima, all’ora fissata, ci presentammo al teatro.
La polizia, con il commissario Improta, della squadra politica, era presente in forze, consapevole che qualche cosa sarebbe accaduto; d’altronde nei giorni precedenti diversi tabelloni pubblicitari erano andati a finire nel Tevere.

Entrammo perché avevamo i biglietti, i giovani si erano persino sforzati di vestirsi bene, come dovuto per la circostanza di gala; in effetti Improta fermò una Rauti che era dotata di una vistosa borsa piena di ortaggi e frutta. Inutilmente la ragazza tentò di giustificarsi dicendo che gli serviva per uno spuntino fra un atto e l’ altro.

Stavamo tutti sistemati in galleria e, appena si spensero le luci, Marchesini gridò a voce alta che quello spettacolo era un’ offesa a Gesù Cristo, Seconda Persona della S.S. Trinità, gli altri poi cominciarono a urlare e lanciare volantini di sotto, uno addirittura lanciò tre criceti attaccati a tre piccoli paracadute, che, planati in platea, suscitarono il pandemonio fra le signore, una delle quali era Donna Leone, moglie dell’ allora presidente della Repubblica.

I poliziotti, accorsi in forza, ci presero e tentarono di trascinarci fuori, non fu facile specie nei confronti di Marco Clarke, paracadutista, che si era attaccato alla balconata e pendeva verso l’interno. Alla fine riuscirono a portarci fuori tutti, mani e piedi, e lo spettacolo ebbe inizio ma ormai era compromesso.

Di fuori attendemmo l’uscita degli spettatori e quando uscì il critico Gian Luigi Rondi, che si era speso in elogi sperticati nei confronti dello spettacolo, fu oggetto di lancio di monetine e giudizi di tradimento.
Il giorno dopo sui giornali, in prima pagina, si parlava della contestazione avvenuta al Teatro dell’ Opera e la foto era dedicata ai tre criceti che apparivano invero spauriti ma sani e salvi grazie ai paracadute.

Purtroppo quell’esempio di spettacolo ebbe dei séguiti e ce ne fu un altro, un film girato in Danimarca, ancora più offensivo e osceno, e anche allora ci fu protesta forte nei confronti dell’ Ambasciata danese. Un volantino, citando Shakespeare, diceva “Danimarca porcile d’Europa”.

 

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Il Vietnam

A piazza S. Pietro i radicali avevano organizzato una manifestazione di contestazione contro Papa Paolo VI, perché riceveva il generale Van Thieu, presidente del Vietnam del Sud, nell’intento di sostenere la causa dei cattolici vietnamiti, minacciati di essere sottomessi dai comunisti del Nord.

All’ora clou della manifestazione, Serge, Rodolfo, Pippo, Paolo e una dozzina di giovani scendono dal bus 64 in via della Conciliazione, proprio a ridosso dei manifestanti addentro alla piazza, si dirigono rapidamente verso i radicali, lanciano loro delle uova e ancor più rapidamente vanno verso l’uscita, in direzione Piazza Cola di Rienzo.
Contemporaneamente, nemmeno fosse stato concordato, la polizia carica i dimostranti, ormai in flagranza di reato per aver invaso il territorio vaticano. Pensavamo si fosse trattato di una semplice contro contestazione ma il giorno dopo ne parlarono i giornali di tutto il mondo, a cominciare dal New York Times, perché l’argomento del Vietnam era di dominio pubblico e poi si parlava del Papa. .

In quei tempi c’erano complicità anche negli ambienti cattolici (purtroppo) a sostegno di Ho Chi Minh e compagni; decidemmo di opporci. Padre Ernesto Balducci era tra i più accaniti nemici degli americani e sostenitore dei vietcong. Sistematicamente, in una parrocchia di Monte Mario, pontificava in chiave ideologica e politica.
Con Josè, Serge, Alfredo e altri andammo, con un pulmino, per contestarlo, ma nella sala delle riunioni tardava a venire e così, quando ormai la nostra presenza era stata notata e aveva suscitato allarmismo, prima che ci cacciassero via, facemmo quattro strilli e lanciammo qualche uovo, giusto in tempo al momento dell’ingresso di Balducci.
Le uova non colpirono nessuno se non i muri. Un uovo, finito a spiaccicarsi sul soffitto, pensò bene di staccarsi per cadere in testa a chi l’aveva lanciato.
Il giorno dopo alla Rai si sentì che un gruppo di fascisti aveva interrotto violentemente la S. Messa del padre scolopio. Naturalmente era falso.

 

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I rumeni

I Romanescu, due coniugi rumeni, facevano lo sciopero della fame, in Piazza Venezia, perché il dittatore Ceaucescu bloccava i loro figli a Bucarest.
I due genitori erano riusciti a raggiungere Roma, insieme all’ultimo nato di pochi mesi che la madre ancora allattava, e intendevano andare in America, ma non potevano certo rinunciare agli altri tre figli.

A noi stava a cuore il problema della “Cortina di Ferro”, e quello delle sofferenze della “Chiesa del Silenzio”, così decidemmo di solidarizzare con queste persone.
Portammo i due genitori con il figlio a casa nostra sperando che almeno lì avrebbero preso del cibo, ma non ci fu verso. Allora decidemmo di rimuovere le acque con qualcosa di più eclatante, per attirare l’attenzione sul problema umano.
Sapevamo che la Croce Rossa si stava muovendo ma bisognava fare altro. Con i ragazzi di Civiltà Cristiana e con i “Giovani per la Famiglia” (Fronte Monarchico Giovanile) decidemmo di “occupare” la Basilica di S. Pietro, anche perché in quei giorni era apparsa la notizia di un anziano cardinale cecoslovacco, Stepan Trochta, morto dopo duri interrogatori della polizia comunista.

Fu così che una quindicina di giovani si presentarono all’ ingresso della Basilica di S. Pietro e passarono dopo un sommario controllo delle guardie vaticane, tanto sommario che non si accorsero che uno di questi, Biagio, aveva addosso nascosta una catena con relativo lucchetto.
Era il primo pomeriggio, non c’era folla, ma pur sempre diverse persone; ci recammo alla cappella del Santissimo e, appena entrati, dicemmo alla gente di uscire perché di lì a poco sarebbe venuto il Papa a pregare.
Tutti i fedeli obbedirono prontamente e uscirono, e noi chiudemmo il cancello con catena e lucchetto. Ci siamo posti ai piedi dell’ altare in preghiera davanti al Santissimo, in particolare Rossana, moglie di Antonio, che aveva con sè il figlio Cristiano, solo di alcuni mesi, come il bambino dei rumeni.
Contemporaneamente il pulmino di Civiltà Cristiana girava per Roma; accanto all’autista, Rodolfo lanciava volantini che spiegavano quello che stava succedendo alla Basilica di S. Pietro.

Naturalmente, ben presto, le guardie vaticane, con il loro comandante, si sono resi conto dell’ occupazione della Cappella e sono accorsi con i rinforzi delle guardie svizzere. Avendo capito che non potevano entrare nella cappella, ci fu una concitata trattativa attraverso le sbarre, in seguito alla quale noi ci impegnavamo a uscire pacificamente e loro si impegnavano a farci ricevere da Papa Paolo VI, perché potessimo esporre il caso dei Rumeni e della Chiesa del Silenzio.
Dopo un po’ si aprì una porta all’ interno della Cappella e cominciammo a uscire di lì, inoltrandoci per lunghi corridoi. Le guardie svizzere dietro a noi finchè, giunti a un bivio con una scalinata che portava sù e una via che portava fuori della Basilica, ci sospinsero buttandoci fuori.

Non facemmo alcuna resistenza perché non pensavamo affatto che saremmo stati ricevuti dal Papa e potevamo accontentarci di quanto fatto. Un pullman della polizia ci attendeva e ci portò al locale Commissariato, dove Rossana cominciò a protestare dicendo che doveva dare da mangiare a Cristiano, sicchè si sbrigarono a rilasciare tutti meno che Marchesini e Scafidi.
Temevamo il peggio quando il Commissario ci fece chiamare, ci guardò negli occhi, ci strinse la mano, disse “complimenti” e ci lasciò andare.
Quando si dice: ”Gli angeli custodi”. Non finì lì, perché eravamo decisi a cavalcare l’ opinione pubblica per dare libertà ai piccoli Romanescu, così andammo anche all’ ambasciata rumena ai Parioli e inscenammo una protesta a base di strilli e lancio di volantini, niente di particolare salvo che un calcio al cancello lo fece aprire con nostra meraviglia, e ci fu una inevitabile irruzione dentro il giardino.

La comparsa di alcuni impiegati e agenti rumeni ci fece fuggire ma l’ultimo dei giovani, Antonio, cadde a terra per lo sgambetto di un rumeno. Prontamente si rialzò e riprese la corsa. Allora non sapevamo che Antonio Tajani sarebbe divenuto presidente del Parlamento Europeo.
Evidentemente, interessandosi dei rumeni, già mostrava una spiccata vocazione europeista.

Anche l’ Accademia culturale rumena di Valle Giulia ebbe la sua parte di contestazione, e sui giornali cresceva l’indignazione nei confronti di Ceacescu, finchè il governo rumeno autorizzò la Croce Rossa Italiana a portare i bambini a Roma.
Qui, assieme al resto della famiglia, vennero ospitati in un albergo a via Marsala, in attesa del visto per il viaggio in America. Successe una volta che, sotto le loro finestre, passasse un corteo di studenti, provenienti dalla Sapienza, che inneggiavano al comunismo, solo a stento i genitori trattennero la figlioletta maggiore dal lanciare un ferro da stiro sopra ai dimostranti.

I Romanescu andarono negli Usa, riuscirono ad aprire un’attività fotografica che consentì loro di vivere bene e, per diversi anni, ci mandarono lettere di ringraziamento con le foto dei ragazzi.

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I polacchi

Ci facevamo il dovere di solidarizzare con “La Chiesa del Silenzio”, con i nostri fratelli cristiani dell’ Europa dell’Est, privati di ogni libertà e perseguitati nei loro paesi.
Aiutammo il gesuita Padre Chianella a fare una mostra fotografica al “Caravita”, nei pressi della chiesa di S. Ignazio, sulle sofferenze dei cristiani nei paesi a governo marxista.
Organizzammo un incontro, presso la sede di via Ludovisi dei “Giovani per la Famiglia”, per denunciare l’ assassinio del sacerdote albanese don Stefano Kurti, reo di aver battezzato di nascosto un bambino (in seguito la Chiesa dichiarò beato don Kurti).

L’ Albania allora si vantava di essere il paese più ateo del mondo. Partecipammo all’ Anno Santo Giovanile, con interventi pubblici e manifestini, per evocare la presenza dei cattolici impossibilitati dai regimi comunisti a venire a Roma e, in quella circostanza, scrivemmo anche una preghiera a loro dedicata.
In effetti non trovammo molta corrispondenza nella cattolicità ufficiale, più propensa al “Compromesso storico” che a rendere giustizia ai fratelli perseguitati.
Ma una volta riuscì a giungere a Roma una delegazione di vescovi e fedeli polacchi con i cardinali Wyszynski e Wojtyla che tennero una cerimonia religiosa alla Basilica di S. Giovanni in Laterano.
La notte prima tappezzammo la Piazza di S. Giovanni e i dintorni di manifesti e striscioni inneggianti alla libertà della Polonia. Per la circostanza andammo a trovare sui calendari tutti i santi dell ‘ Europa dell’ Est e li scrivemmo sui manifesti come protettori dei cristiani di quei paesi.

Quando i polacchi giunsero in Piazza S. Giovanni si meravigliarono e si compiacquero di quell’ accoglienza calorosa e battagliera. Alla cerimonia guardavamo soprattutto il primate Stefan Wyszynski, che presiedeva, ma ci colpì anche la presenza, accanto, del cardinale Karol Wojtyla. Non sapevamo che da lì a poco sarebbe divenuto Papa Giovanni Paolo II.

 

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Gli stemmi e i presepi

Come già detto “Civiltà Cristiana” era un punto di riferimento internazionale per i tradizionalisti che subivano gli arbitri del Post Concilio nelle varie parti del mondo.
In particolare c’era indignazione per i contenuti del “Catechismo Olandese” che tanto scempio della dottrina e della morale operava nel Nord Europa. Non potendo rivalerci nei confronti dei due cardinali progressisti che lo diffondevano, Alfrink, Olanda, e Suenens, Belgio, si pensò di opporsi guastando i loro stemmi cardinalizi; fu così che una sera gli stemmi furono oggetto di lancio di uova (svuotammo le uova con una siringa e poi le riempimmo con vernice) nelle rispettive collocazioni, agli ingressi delle chiese di cui i porporati erano titolari.

L’ anziano Padre Saenz, che aveva dovuto subire le angherie del cardinale Miranda del Messico, addirittura si vide depositare ai suoi piedi lo stemma del suo cardinale; per la commozione pianse. In quella circostanza Massimo, per scavalcare la cancellata che proteggeva la chiesa, si ferì una gamba. Venne con noi al Pronto Soccorso dove un medico lo curò.
Quando ci chiese come si era fatta la ferita gli rispondemmo che, giocando, era andato a finire su un tondino di ferro. Il medico notò che la ferita aveva una forma quadrangolare, sorrise e, per rendere l’atmosfera serena e allegra, ci offrì un bicchierino di liquore.

Quando si dice: “Gli Angeli custodi”. Piccole soddisfazioni che placavano solo in parte le delusioni e i dispiaceri nel constatare lo scempio della Chiesa cui eravamo affezionati.

Quella dei presepi progressisti fu un’ altra rivalsa. Al posto dei pastorelli e delle capanne avevano messo di tutto, dai missili puntati al cielo, alle prostitute che sostavano vicino ai lampioni, alle autostrade piene di macchine e a vistosi secchi della spazzatura, senza contare poi le allusioni politiche.
L’attualizzazione era impropria e di pessimo gusto, francamente era troppo. Fu così che i presepi di alcune chiese furono messi sottosopra. L’ anno successivo constatammo che in effetti c’era più prudenza e devozione nell’ allestimento dei presepi.


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Referendum sul divorzio

Non erano solo gli impegni e le lotte all’ Università e negli ambienti ultra progressisti della Chiesa che ci preoccupavano, ma anche le sorti morali e sociali del paese.
L’ introduzione del divorzio nella legislazione la percepimmo come un pericolo grave per i valori religiosi più profondi, la Famiglia e gli stessi Comandamenti e Sacramenti.
E ci appariva foriera di ulteriori degenerazioni come di fatto fu; volta per volta arrivarono l’ aborto, i gay, l’ eutanasia. Pertanto quando il mondo cattolico decise di opporsi al divorzio, nel 1974, appellandosi a un referendum abrogativo, ci buttammo nella lotta.

Assieme a Civiltà Cristiana e ai Giovani per la Famiglia fummo molto attivi per tutta la durata referendaria. Di giorno con continui volantinaggi nelle vie del Centro adiacenti la nostra sede, di sera con affissioni a tappeto di manifesti. In sede prendemmo diverse iniziative di incontri a sostegno della famiglia; ci fu anche qualche iniziativa più vivace, come una manifestazione di fronte al Teatro Parioli, che era divenuto un punto di riferimento per i divorzisti.

Quello dell’ attacco ai valori morali del cristianesimo era un altro fronte altrettanto pericoloso dell’ attacco politico e rivoluzionario del Sessantotto: due aspetti della stessa mentalità atea, materialista e anticristiana.
Ci premeva che i cattolici, assenti per paura nelle lotte all’ Università, per lo meno fossero presenti in quelle a difesa dei valori della famiglia e della morale. Non potevano cavarsela semplicemente con le affermazioni di principio e con il buon esempio della loro condotta.

L’ avversario badava solo a imporre con la forza i suoi intendimenti, che erano distruttivi per la Cattolicità.

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Conclusioni

La Chiesa, liberatasi dai condizionamenti filo protestanti e filo marxisti, che l’ hanno impedita in tempi recenti, dovrà creare condizioni di autentica dottrina e morale nel suo ambiente.
Dovrà presentare ai fedeli rigore liturgico e rispetto fedele della Tradizione; solo così essa potrà affrontare le sfide del mondo contemporaneo e apportare il suo contributo insostituibile.
Non solo presentando un modello di vita famigliare sapiente e attraente e una solidarietà generosa verso i bisognosi, ma anche una visione del mondo, teologica e filosofica, universale, senza complessi di inferiorità nei confronti dell’ Università e dello Stato.

Chiesa e Università sono due organi vitali dello Stato, ognuno di essi ha bisogno dell’ altro.

 

Roma settembre 2018
Revisione 1 - 12/10/2018

Duilio Marchesini e Giancarlo Scafidi