Premessa - La paura più frequente - L'orizzonte soprannaturale - Un apostolo non ha paura
Premessa: mi è capitato di assistere da spettatore TV a una 'lectio magistralis` tenuta dell'astronauta Luca Parmitano ad alcuni studenti di un liceo scientifico di Ciampino (Roma) . Gli studenti erano tutti interessati e attenti, anche perché il colonnello dell'Aeronautica Luca Parmitano oltre a una vasta cultura e un curriculum letteralmente impressionante, possiede una innata simpatia, una particolare capacità empatica, e un modo di parlare che rendono impossibile distrarsi e smettere di ascoltarlo.
Per inciso suggerirei a certi presuntuosi personaggi di andare a leggere la sua storia su Wikipedia.
«Perché ci racconti questo ?» - dirà il paziente lettore - «Che c'entra con la meditazione sulla paura della morte?»
Ebbene c'entra moltissimo.
In occasione di un incidente occorso il
16 luglio 2013 al sistema di respirazione della tuta durante una escursione all'esterno della stazione spaziale, quando la quantità di acqua continuava ad aumentare all'interno del casco della tuta, l'astronauta Parmitano rischiava l'annegamento, ma dimostrò grande sangue freddo e una grande capacità di controllare la paura, che gli consentirono di salvarsi la vita.
A un certo punto il professore e lo stesso Parmitano hanno chiesto ai ragazzi di scrivere quali erano le loro opinioni sulla paura e sul modo di controllarla, e anche di indicare quali fossero le loro maggiori paure, se ne avevano.
Ebbene, la paura, più 'popolare' tra quei giovani, come me si usa dire oggi, era la paura di morire.
In tutti i discorsi che ho sentito fare in quella trasmissione TV, è mancato completamente ogni aspetto spirituale, anzi dalle parole dei ragazzi traspariva l'ateismo pratico e il materialismo che tutto sovrasta nella vita di oggi.
Tanto per cominciare - al contrario di quello che accadeva ai miei tempi - in quella scuola non c'era il nostro simbolo tradizionale, la croce appesa al muro dietro la cattedra, a ricordarci il nostro destino finale. Le lezioni di religione poi ai miei tempi erano tenute da un sacerdote.
Immagino che invece in quella scuola, sempre che l'ora di religione ci sia, insegni un filosofo esperto in storia delle religioni, magari marxista e ateo, quindi con un orientamento fortemente relativista.
Infatti la maggior parte di quegli studenti ha dichiarato che la principale paura era quella di morire, ad eccezione di un ragazzo dall'aria seria e concreta, che scrisse che la sua paura era quella di non trovare lavoro dopo la scuola, e di non potersi fare una famiglia sua.
Se cerco di ricordare le paure che avevo io alla loro 'età, tornando indietro nel tempo con il pensiero, la paura della morte nel mio orizzonte non era contemplata, e lo dimostravo con il comportamento spericolato - anche se ragionevolmente prudente e non sconsiderato - che avevo per esempio nelle attività di pescatore in apnea o con le bombole.
In certe occasioni, contemplando una bellezza, che non poteva essersi creata da sola, mi veniva spontaneo e irrefrenabile un moto di ringraziamento al Creatore di quelle meraviglie
Quel che io temevo di più era di non riuscire al meglio negli studi
e di deludere i miei genitori, il che purtroppo talvolta accadeva. Non era un timore vero e proprio, una paura delle conseguenze, ma era dovuto al rispetto che sentivo di dovere a loro che mi avevano portato a quel punto.
Lo facevo per non dispiacere a Dio (onora il padre e la madre). Non è che non conoscessi già la morte, e non avessi assistito alla morte, per esempio dei miei nonni, ma pensavo che in realtà non erano morti, che non se n'erano davvero andati.
Solo, non li vedevo più, ma ero sicuro che li avrei rivisti, un giorno. Dentro di me anche allora, evidentemente, era radicato il pensiero del mio destino oltre la morte, anzi più tardi a causa di forti tempeste ormoniche, alla mia morte nemmeno pensavo.
L'orizzonte soprannaturale
Ricordo una persona di una certa età, che mi raccontava che lo scopo della vita è il 'piacere', non solo materiale per il cibo, il sesso o altro, ma anche inteso come soddisfazione per aver fatto il proprio dovere.
«Mi spieghi »- domandava - «perché lavori? Perché metti tanto impegno nel fare tubi per gasdotti e oleodotti? Perché ti impegni tanto e ti dai da fare?»
«Beh» - rispondevo io - « per fare arrivare da noi il petrolio e il gas,tanto per cominciare».
«E perché il gas e il petrolio devono arrivare da noi?» - insisteva lui. Alla fine della giostra si trattava del gatto che gira su sé stesso e per gioco tenta di afferrarsi la coda, sotto sotto non c'era altro, il che mi lasciava stupefatto di tanta ottusità.
Pensavo infatti che se il mio 'piacere' diventava far bene il mio lavoro solo per compiere un dovere, o non lavorare a tirar via solo perché mi dava di che vivere o mi faceva fare carriera, ebbene ciò valeva assai poco.
Quello che mi dava soddisfazione non era infatti il lavoro per sé stesso ma era offrirlo a Dio con riconoscenza.
Con lo stesso spirito, anche il rispetto delle regole, il trattare bene il mio prossimo cominciando da quello più prossimo, per me significa avere orizzonte soprannaturale e contiene il superamento di ogni aspetto puramente materiale.
Dal punto 359 di "Cammino" , libretto di aforismi di San Josemarìa Escrivà riporto:
Dà un motivo soprannaturale alla tua ordinaria occupazione professionale e avrai santificato il lavoro
e dal punto 285
La conversione è cosa di un istante. La santificazione è il lavoro di tutta una vita
Fare tutti i santi giorni le stesse identiche cose, o anche fare cose straordinarie, ma non dargli motivi soprannaturali, prima o poi abbrutisce,nel senso che induce a dimenticare che tutti si deve morire prima o poi.
L'orizzonte diventa puramente materiale, e spesso può abbattere la psiche e - nel migliore dei casi - non permette di scorgere altro che la mera osservanza delle leggi.
In questi casi anche le grandi cose non danno alla fine che poca soddisfazione, anche l'aiuto al prossimo - per quanto importante sia - è semplice filantropia, e tutto può essere lecito.
Ove manca una vera vita spirituale non ci sono limiti ai mezzi che si possono usare per compiere quello che pensiamo sia buono. Magari anche per soddisfare il nostro piacere, le nostre passioni e le tendenze meno nobili.
Se questo è l'orizzonte, terra terra,
è chiaro che la morte fa una paura boia, perché morire è la fine di tutto, la perdita dei nostri piaceri e dei nostri averi, di tutto quello che abbiamo prodotto, l'annichilazione definitiva del nostro io cosciente. Tutto ciò ci fa perdere la misura della realtà.
Dal punto 740 di "Cammino", libretto di aforismi di San Josemarìa Escrivà riporto:
Quale parte del mondo si scardinerà se io vengo a mancare, se io muoio?
Potete immaginare dove mi voleva portare il discorso della persona di prima. Ovvero quello che avrebbe voluto farmi ammetttere dal suo punto di vista legato solo alla materialità pura e semplice.
Per quella persona tutto si riduceva ai piaceri e alle soddisfazioni di questo mondo, e perfino la propagazione della specie non aveva senso, perché fine a sé stessa: .
«Nasci vivi lavori fai figli e alla fine muori? Ha senso solo se la cosa ti dà qualche soddisfazione, se ti gratifica in qualche modo, se puoi ricavare piacere da quello che fai, insomma»
Dal punto 753 di "Cammino" riporto:
Tutto quaggiù è un continuo finire. Neppure comincia il piacere, ed è già terminato?
Quella persona pensava che perdendo la possibilità di prendersi il suo piacere valesse come essere gia morto.. Ma non aveva pensato agli altri, cioè ai sacrifici e all'impegno che avrebbe dovuto mettere nel caso avesse dovuto occuparsi di qualcuno, magari di un parente malato o disabile o altro. Non pensava allo stato di abbattimento e sofferenza in cui sarebbe caduto chi non avesse in tal caso una visione soprannaturale, dando un senso alla vita..
Semplicemente era - almeno teoricamente - un egoista, incapace di mettersi nei panni degli altri, e nemmeno di pensare - o rimuoveva il pensiero - che qualche disgrazia potesse capitare anche a lui. .
Secondo gli atei noi umani siamo animali molto evoluti, che hanno in sorte, casualmente, un cervello più sviluppato ed efficiente e una conformazione fisica che nel tempo ha permesso alla specie di costruirsi strumenti sofisticati e di progredire ed evolversi fino ad arrivare in cima alla catena alimentare della vita sul pianeta Terra.
Perché contrapporvi o meglio aggiungervi una visione soprannaturale, se di questa realtà oltre la natura visibile non c'è, e non può esserci, la certezza?
Che senso ha l'impegno per santificarsi nel compimento fedele del proprio lavoro e nel servizio al prossimo rimanendo orientati al bene, e resistendo al richiamo di sbandare per questioni di potere, di denaro e altro?
Il dubbio è naturale, ma è dimostrato che senza un orizzonte soprannaturale, che indichi e chiarisca lo scopo vero della nostra vita sulla terra, non siamo altro che un'altra specie di animale, che essendo razionale potrebbe essere capace di elaborare e realizzare qualunque aberrazione.
Per controllare le pulsioni distruttive e autodistruttive l'unica soluzione sarebbe allora la limitazione severa delle naturali libertà individuali operata tramita la coercizione della legge. Che tristezza! E alla fine, la rovina.
Invece Dio è una realtà, ma se agisse su questa terra in modo da toglierci ogni dubbio ci priverebbe della libertà di scelta, e l'avere Fede perderebbe di significato e di merito.
Quindi per me che credo in Dio, che mi ha donato la Fede in Lui, il pensiero della inutilità di una visione soprannaturale delle cose è del tutto errato.
Dal punto 580 di "Cammino" , libretto di aforismi di San Josemarìa Escrivà riporto:
Chiedi umilmente al Signore di accrescerti la Fede. E poi con nuove luci giudicherai bene le differenze tra i sentieri del mondo e il tuo cammino d'apostolo
Cos'e un apostolo che vive nel mondo? Perché non dovrebbe temere la morte fisica?
Dal mio punto di vista di cristiano,non trovo nessuna difficoltà ad essere un apostolo, o per meglio dire di sforzarmi e tentare di esserlo, perché riconosco di avere tanti limiti, forse troppi.
Essere apostolo significa dimostrare agli altri, con l'esempio della propria vita, che comportarsi seguendo Cristo su questa terra e nel proprio stato è molto conveniente. Cioè consiste nel fare in modo che - vedendo te - gli altri siano invogliati alla conversione, a diventare apostoli essi stessi.
I capisaldi dell'apostolato di un cristiano laico, che non sia un religioso, non sono poi molti. Secondo me egli dovrebbe sforzarzi costantemente :
- di offrire un esempio di integrità e di virtù con la sua vita.
- di essere distaccato da quello che possiede, e non rendersi schiavo di alcunché , praticando la virtù della sobrietà, perché nessuno può portare nulla con sé nella tomba.
- di non strumentalizzare la religione per trarne vantaggi economici o altro. Deve cioè essere un cristiano praticante, ma non clericale, e cercare di perseguire quello che in coscienza pensa sia giusto (purché non si tratti di idee materialiste o relativiste anticristiane).
- di non adirarsi ovvero di adirarsi il meno possibile, per esempio non prende a male parole chi gli taglia la strada, o non reagisce troppo male alle critiche (giuste o sbagliate che siano)
- di cercare di fare in modo che nel proprio àmbito sociale o di lavoro ci sia pace e amicizia.
- di mettersi al servizio degli altri, in particolare della propria famiglia Gli esempi sono numerosissimi. Basta esaminarsi con coscienza. Peggio ancora sarebbe se uno parlasse di pace, carità e di rispetto per gli altri, ma nel proprio intorno non cercasse di praticarli o trascurasse di curare il benessere morale e materiale di quelli che sono più alla sua portata.
- di far bene e con coscienza il proprio lavoro, al meglio che gli è possibile, evitando di danneggiare tutti con la sua trascuratezza.
- di guardarsi dal prendere lucciole per lanterne. Essere un pacifico, ma non un vile o un pacifista di comodo. Come Gesù stesso dice (Luca 11,21)
quando l'uomo forte e ben armato/guarda l'ingresso della sua casa/ciò che egli possiede è al sicuro
o anche (Luca 12,39) Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa .
Anche se Gesù con questo vuole intendere che il cristiano deve tenersi pronto agli attacchi delle tentazioni, in vista del Suo ritorno, ovviamente le diverse versioni di questi brani - pur cambiate leggermente nei secoli - presuppongono che l'azione di una persona contro chi ha l'intenzione di fargli del male sia giustificata, senza se e senza ma.
Essere un apostolo non è certo facile. Chi vuole formare gli altri non può essere un bigotto - magari anche ignorante - ma deve egli stesso formarsi continuamente sotto la guida di chi può aiutarlo. La preghiera, la lettura dei Vangeli degli Atti degli Apostoli e di qualche libro spirituale intelligente ed efficace e la pratica della meditazione cristiana sotto la guida di persone preparate sono essenziali a una persona che voglia santificarsi.
SE CI SI SFORZA DI ESSERE APOSTOLI E DI SANTIFICARSI CON LA PROPRIA VITA NON SI HA PAURA DELLA MORTE FISICA, O PER MEGLIO DIRE SI RIESCE A IMPEDIRE CHE L'ISTINTO PREVALGA SULLA RAGIONE, PERCHÉ SI È SICURI DEL PROPRIO DESTINO.
Dal punto 744 di "Cammino" riporto:
Tu - se sei un apostolo - non dovrai morire - Cambierai di casa, e nient'altro.
Qualcuno potrebbe dire: « anche Gesù ebbe paura, quando - sapendo bene che sofferenze avrebbe dovuto affrontare morendo in croce - sudò sangue e chiese al Padre di evitargli quella sofferenza».
vero, però la sua non era una paura della morte - sapeva che sarebbe risorto, anticipando la nostra resurrezione - ma della grande prova, cioè la flagellazione, la corona di spine, il cammino verso il Calvario, e la tortura della croce. Per nostra fortuna Cristo ha sconfitto la sua paura.
Lino Bertuzzi, il 22 Luglio 2019
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