LA MORTE, LA VITA . Il dialogo con i defunti

Dal libro : LUIGI TIRELLI,  La Fede dei figli di Dio. pp.54-57, ed.ARES

 Per noi tutta la carne è salva, perché purificata, liberata, riscattata dal Crocifisso: con Lui sepolti, con Lui risorgiamo. E risorgiamo interi, anima e corpo in una unita più gloriosa di quella della creazione,perché porta ormai l’immagine di Cristo trionfante.

La gloria della Risurrezione, stampata nei redenti, ci autorizza a cantare anche nei funerali, anche nelle liturgie dei defunti, perché il cristiano sa che "vita mutatur, non tollitur" che la vita non e tolta, ma trasformata: non e l’esaltazione di una memoria che idealizza alterando la realtà e tantomeno la consolazione di una rievocazione nostalgica di presenze perdute. E il canto pieno della fede in un presente sempre reale e in una realtà sempre presente. Le larve e i fantasmi, noti alle concezioni pagane, cedono il posto alla credenza nei vivi dopo la morte. Impressionante la testimonianza di Giobbe che, dopo ripetuti accenti di umano sentire sull’irrevocabilità della corruzione e della morte, prorompe in un grandioso, profetico atto di fede nella risurrezione del corpo: “Io lo so che il mio Redentore  è  vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!” (Gb 19, 25). La potenza del Redentore é presentata da alcuni versetti di Matteo che parlano di un anticipo della finale restituzione dei corpi: ”...i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella citta santa e apparvero a molti» (Mg; 27, 52-53).

Il soffio di vita che pervade tutto il messaggio cristiano impedisce che ci fermiamo davanti ai sepolcri come davanti a un trionfo della morte, o che li scambiamo per ammonimento ai vivi. Per ogni credente si rinnova la domanda degli angeli alle pie donne: “Perché cercate tra i morti colui che e vivo?” (Lc 24, 5). Parlare con i morti come si fa con i viventi non e l’illusione di chi tenta di captare voci nell’etere, inutile e irrispettosa impresa di quanti vacillano nella vera fede; e la normale conseguenza  di questa continuità  della vita nella Vita. “In Cristo viviamo”, afferma ripetutamente l'Apostolo, e in Cristo anche parliamo con gli altri. Il colloquio del cristiano con i defunti non e l’illusoria consolazione foscoliana che il sopravvissuto procura a sé stesso: e la potente comunicazione in Christo Iesu   di affetti, pensieri, promesse. Infatti io prego il fratello passato a vita duratura, nella fede della Chiesa, che mi da assicurazioni della santità delle anime purganti e mi insegna altresì che ho mezzi per suffragarle, per aiutarle nel loro stato di purificazione. Questo rapporto di amorosa corrispondenza e un bene assai grande che non ci è permesso di smarrire nel turbine degli interessi terreni.

Come c’é un dovere di fedeltà verso i consanguinei, gli amici, i benefattori che tuttora vediamo e con i quali viviamo, esiste lo stesso obbligo verso coloro che sono scomparsi dalla scena di questo mondo. La pietas e più che un sentimento; è una virtù e un dono che ci fa compiere atti meritori. La pieta verso i defunti ha un carattere gratuito, che nessun materialismo e in grado di spiegare; pregare per quanti non hanno alcuna possibilità fisica di dirci un "grazie" e una delle forme di amicizia più pure che esistano, e d’altra parte noi cristiani siamo in una costante corrente di simpatia con gli spiriti di ogni tempo. La piu caratteristica espressione di questo "salire e scendere" di preghiere e di grazie, come scala di Giacobbe di inesausta ricchezza, e rappresentata dal culto dei santi. Non a caso la Chiesa fa precedere il 2 novembre dalla festa di tutti i santi: i quali, amici di Dio, sono i più autorevoli intercessori presso di Lui. Non e soltanto l'uomo colto che avverte affinità e consonanze con quelli che l’hanno preceduto nelle lotte per la vita dello spirito; e anche l’uomo della strada a intuire nel santo patrono, nel modello popolare, un suo portavoce, un interprete della sua coscienza e un amico per i suoi bisogni. Chi ride di questo scambio apparentemente superstizioso fra i santi e i devoti non ha possibilità  di capire molti segreti dell’animo umano, ed è ancora analfabeta nella lettura di sentimenti che non hanno compensi immediati: l’amore della madre, l’assistenza allo sconosciuto, la silenziosa abnegazione per il bene altrui, l'elemosina nascosta... Non e vero che l’offerta votiva sia il residuo della paura pagana per il nume vendicativo. Molti sono i casi dei fedeli che offrono anche senza ricevere, come sono moltissimi i malati che tornano da Lourdes con l’animo lieto, anche senza aver ottenuto la guarigione.

Mentre si affollano le chiese nei giorni dei morti e si accendono lumini e candele, veniamo presi come da un vortice in cui presenze invisibili si alternano a visibilissime fiamme di palmare sensualità.  La civiltà dei consumi, che ha falsamente introdotto surrogati di sacramenti con i matrimoni civili, con le feste della mamma e con i minuti di silenzio, si trova nella necessita di manifestare in qualche modo con riti o con segni a doppia faccia i il suo credo nella sopravvivenza.

Il "non omnis moriar" (“Non tutto io morrò”) del poeta latino non va affidato a un semplice monumento poetico: è l’aspirazione  insopprimibile alla vita che non muore, che non può  morire, perché in ogni mio gesto, in ogni parola, in  ogni programma c’è un’impronta inequivocabile di perpetuità.