POVERI RICCHI !
(PAUPERISMO)
di Lino Bertuzzi . Luglio 2014

  • San Paolo - Seconda lettera ai Tessalonicesi: Quando eravamo da voi vi  abbiamo sempre imposto questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi! (2 Tessalonicesi  3,10)

 Riportiamo qui sopra le parole che san Paolo rivolge ai cristiani di Tessalonica, la capitale della Macedonia greca, basate su una “regola” che probabilmente attingeva a un proverbio popolare. Questa frase fu persino assunta dalla costituzione dell’Unione Sovietica (senza ovviamente il riferimento all’Apostolo).

  • San Josemaría Escrivá: riportiamo anche tre aforismi ricavati dal famoso aureo libretto intitolato 'Cammino' (Edizioni Ares Milano o Oscar Mondadori)

al punto630: 'non lo dimenticare: possiede di più chi ha meno bisogni. Non crearti esigenze.'

al punto 632: 'la vera povertà non consiste nel non avere, ma nell'essere distaccato: nel rinunciare volontariamente al dominio sulle cose. Ecco perché vi sono dei poveri che in realtà sono ricchi, e viceversa.'

È chiaro che a la ricchezza a cui si riferisce San Josemaría è quella che si ottiene con mezzi onesti e con l'impegno personale, perché lavorare significa occupare il tempo nel fare qualcosa, traendone un vantaggio generalmente economico. Così recita l’enciclopedìa, che ne spiega anche l’origine etimologica che riporta al latino labor con il significato di fatica. Ma alle ricchezze che uno si procura con il suo lavoro non bisogna attaccarsi.

al punto 634: 'Tanta affezione alle cose della terra! Presto ti sfuggiranno dalle mani, perché le ricchezze non scendono col ricco nella tomba.'

Il PAUPERISMO,

che oggi è di gran moda, appartiene sicuramente alla più ampia corrente dell'ascetismo cristiano, ma se ne differenzia in alcuni aspetti. L'ascetismo, per esempio, ha sempre posto l'accento sulla povertà individuale, del singolo cristiano (religioso o secolare che fosse), e su altre forme di penitenza e di austerità, mentre raramente poneva in discussione la possibilità che l'istituzione (il monastero, l'Ordine, la Chiesa stessa) potessero possedere ricchezze.

Il pauperismo medievale, invece, non era tanto una ricerca della povertà personale quasi fosse una forma di penitenza o una via di perfezionamento, ma spesso sceglieva di rinunciare alle ricchezze per condividere la vita degli strati più umili della società e aderire - a loro dire - più fedelmente all'esempio di Gesù Cristo. Sappiamo tutti come è finito il pauperismo di Frà Dolcino. Inoltre a differenza dell'ascetismo il quale è una ricerca volontaria della povertà, il pauperismo ne è un'accettazione filosofica.

Alcuni punti in comune con il pauperismo sono stati riconosciuti anche in encicliche papali come la Rerum Novarum e la Quadragesimo Anno, facenti parte della cosiddetta dottrina sociale della Chiesa cattolica: la predominanza accordata alla ricchezza spirituale rispetto a quella materiale e una certa volontà di comprendere le reali condizioni dei più poveri.

Il pauperismo di oggi, nell'accezione di rinunciare alle ricchezze per condividere la vita degli strati più umili della società e aderire più fedelmente all'esempio di Gesù Cristo, è ancora presente nella predicazione di alcuni ordini religiosi e nella ideologia di alcune associazioni politiche o culturali come il Movimento dei lavoratori cattolici, ed è preso come base fondamentale di determinate teorie economiche quale il distributismo. Molte posizioni politiche di questo tipo sono frutto di un grave peccato capitale: l'invidia per chi è migliore di te e l'accidia (la voglia di far nulla e di essere mantenuti dagli altri che lavorano meglio e di più). E poi Gesù Cristo, che era Dio, non era sicuramente un 'povero' perchè aveva in suo potere l'Univero intero da Lui stesso creato e se ne serviva solamente al bisogno. Egli era in tal senso l'uomo perfetto! Per questo se uno vuole imitare Cristo deve praticare l'ascetismo personale. Signori, leggete il Vangelo, e per favore buttate nel cesso 'Il Capitale'!

Gli effetti del pauperismo applicato secondo le concezioni di cui sopra sono disastrosi, perché se non c'è chi ha possibilità economiche o ´pveri chi li aiuta?

Un esempio pratico del quale ho avuto direttamente esperienza da quando lavoravo negli anni 70 a Taranto come tecnico e poi come dirigente poi negli anni 80 e 90: la demonizzazione del profitto fece si che negli anni delle vacche grasse, gli utili aziendali fossero destinati a realizzare opere che non avevano nulla a che vedere con l'acciaio. Si costruirono a spese dell'azienda Cattedrali, interi quartieri di case popolari, e opere grandiose per la viabilità, come il ponte di Punta Penna. Inoltre il sindacalismo prese piede tanto da condizionare le attività e la gestione, e nessuno all'IRI fu più in grado di gestire tali situazioni 'politiche'. Successe come nella favola della cicala e della formica. Quando vennero i tempi bui per l'acciaio, negli anni 80, i vari settori dell'azienda, pur avendo raggiunto livelli record di efficienza, per mancanza di capitali non furono in grado di far fronte all'inverno della produzione e furono svenduti a industriali privati, nazionali ma anche esteri (tedeschi). Si bruciarono somme immense pagate nel tempo dai contribuenti a favore di pochi che cambiando i criteri fecero poi funzionare gli impianti e si arricchirono.

La regola che recita: 'a ciascuno secondo i suoi bisogni e da ciascuno secondo le sue possibilità' non può funzionare nel momdo reale per due motivi:

  • i bisogni di ciascuno non sono determinabili, se non con atto impositivo e liberticida: il socialismo reale, destinato a implodere per mancanza di efficienza e di libertà.
  • Ma mentre i bisogni magari si potrebbero calcolare con lo standard minimo di vita che qualcuno determina per gli altri sulla base di piani e programmi, limitando la libertà e mortificando i migliori, per le possibilità va ancora peggio. L'uomo non è un angelo, tutt'altro. Lavora e si impegna a fondo solo se ha interesse a farlo, per l'interesse individuale. Un operaio occidentale, con condizioni di vita molto migliori di quelli della Russia Comunista di una volta produceva parecchie volte di più della norma comunista. A un certo Stakanov, che superava sempre la norma giornaliera, fecero addiritttura un monumento! Oggi sappiamo le condizioni di vita e di lavoro inumane dell'URSS!

La predominanza accordata alla ricchezza spirituale rispetto a quella materiale e la volontà di comprendere le reali condizioni dei più poveri, e la solidarietà sociale vanno benissimo, ma oltre un certo limite queste devono essere solo predisposizioni, magari diffuse e applicate, ma individuali. Guai a bloccare per legge la libertà economica oltre i limiti che scoraggiano le persone a lavorare per produrre ricchezza nel proprio interesse! Se non c'è ricchezza prodotta in più, la solidarietà finisce, non c´è più nulla da distribuire se non il minimo vitale, e questo non sempre. La società muore.

Un altro aspetto è la giustizia: se uno effettivamente non è in grado di lavorare deve essere mantenuto decentemente, ma se uno non ne ha proprio la voglia? Non è giusto penalizzare troppo scoraggiando chi lavora e produce ricchezza.
Se tutti avessero amore al lavoro ben fatto, qualunque esso sia, ne potrebbe venire molto bene. Da una parte dunque l'attuale carenza di virtù civili indispensabili ad ogni vivere organizzato e annoverabili tra quelle ‘cardinali', provoca la situazione che abbiamo sotto gli occhi. Dall’altra nella società d'oggi c’è la mancanza di riferimenti che aiutino a non “cadere dall’altra parte del cavallo”, cioè di un punto di riferimento assoluto.

Dio ci ha creato per lavorare (GENESI II, 15)
L’Eterno Iddio prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino d’Eden perché lo lavorasse e lo custodisse.

Dunque il lavoro non è una maledizione o una conseguenza del peccato originale – come anche qualche credente sarebbe indotto a pensare – ma è fatto per l’uomo e l’uomo è fatto per lavorare, come i pesci per nuotare e gli uccelli per volare. Va fatto dunque con amore, qualunque sia, al meglio delle proprie possibilità.
Certo vi è lavoro e lavoro, ma anche nei lavori più umili o meno redditizi o più faticosi, o più difficili o pericolosi si possono esercitare le virtù umane, e sopra tutto – quando si ha la fortuna di avere FEDE – il lavoro BEN FATTO si può sublimare dedicandolo al nostro Creatore. A cominciare da noi ne avranno vantaggio tutti.

APPENDICE:
Quali dunque i rimedi ai problemi dell’oggi? Servirebbe cercare di riportare in auge con l’educazione della gioventù le virtù laiche e civili?
Il dileggio dell'idea di autorità e dell’autorità stessa, l’idea sbagliata della democrazia,  la trascuratezza delle norme e delle leggi e la rilassatezza dei costumi, non sono forse queste le cause degli incidenti stradali, per esempio, o della PIAGA DELLE MORTI BIANCHE?

La carenza di virtù civili indispensabili ad ogni vivere organizzato e annoverabili tra quelle ‘cardinali', diviene oggi addirittura motivo di vanto. Le conseguenze? Perduta la Fede, rimane il vuoto di ideali, sostituito da surrogati, sfrenata ricerca del piacere, droga.

Il rifiuto di certi doveri, mascherato da pretesti morali per lo più fasulli, se i prestestuosi sono vili o peggio violenti, in certi periodi è addirittura sfociato nel terrorismo. Oggi l'ateismo pratico, l'edonismo e la dissolutezza dei costumi trionfano. C'è un aumento esponenziale delle turpitudini conseguenti alla caduta di ogni limite nei diversi campi della vita e della scienza: omicidi, aborto, pedofilia, omosessualità, stravolgimento dell'etica nelle manipolazioni genetiche e nel concetto di famiglia.  Tutto ciò non può che finire nel disastro totale. Arriveranno i 4 cavalieri dell'Apocalisse!

INVERTIRE LA ROTTA SI POTREBBE. COMINCIANDO LA PROPAGANDA E LE AZIONI PER RISTABILIRE I FONDAMENTI DELLA NOSTRA CIVILTÀ, LE VIRTÙ CARDINALI OGGI SBEFFEGGIATE, COMINCIANDO DAI GIOVANI

Servirebbe richiamarci alle nostre radici cristiane, e agire di conseguenza?