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Dal 2002 al 2004: contro il parere del commercialista, ho commesso un grave errore di valutazione. Volevo cedere a un figlio l'azienda della quale possedevo il 70% delle quote, e gli detti il mio posto di Amministratore Unico. Mio figlio lasciò l'impiego da dipendente di un'azienda a Reggio Emilia, ma né lui né la sua convivente si dimostrarono in grado di essere imprenditori. Non pensarono a impadronirsi dell'azienda lasciando mano libera per mesi a un socio-gestore che possedeva il 10% circa delle quote, costringendomi infine a intervenire personalmente.
Dal Febbraio del 2003
ho lavorato a tempo pieno alla ristrutturazione dell'approdo, che il socio-gestore aveva sospeso senza preavviso, anche se i futuri posti barca erano tutti già prenotati. All'ultimo istante utile riuscii a impegnare una ditta per installare 200 m circa di pontili galleggianti e relativi pali. Curando la manutenzione di macchine e impianti, ho portato a norma l'impianto anti incendio installando una motopompa. Alla fine del 2004 ho ritenuto che vendere le mie quote fosse la migliore cosa da fare. Oltre tutto il 23 di Marzo 2000 era mancata anche mia madre, per una brutta malattia. Mio fratello, che viveva con lei, sub-udente con problemi neurologici, era divenuto alcolista e caduto in pessime mani. Recuperarlo mi è costato impegno e ingenti spese.
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